I G8 e l’ultimo uomo

di Alberto Giovanni Biuso - domenica 12 luglio 2009 - 2386 letture

Il reale significato della crisi che investe il capitalismo finanziario è accuratamente nascosto dal capitalismo della comunicazione: «Il salvataggio del sistema economico mondiale con fondi pubblici ipotizzato dal mondo sviluppato (G8, G7, G4) non mira ad altro che a salvare banche e holdings» (Claude Karnoouh, Diorama letterario, n. 293, marzo-aprile 2009, p. 40). Le illusioni dei partiti della sinistra istituzionale e radicale, che individuano nei clandestini e nelle periferie urbane dei soggetti rivoluzionari, mascherano la molto prosaica realtà di «clandestini [che] aspirano solo a diventare i piccoli borghesi conformisti del sistema socio-economico che li accoglie» e di rivoltosi delle periferie (francesi, in particolare) che «rompono e spezzano come altrettanti consumatori frustrati», mentre a buon conto i governi e le banche apprestano «enormi forze di repressione, burocratiche, poliziesche e militari» (ivi), delle quali le leggi imposte in Italia dall’aperto razzismo della Lega Nord, l’utilizzo dell’esercito nelle città, la militarizzazione progressiva dei luoghi politici, costituiscono la manifestazione più evidente. Condivido del tutto le conclusioni dell’analisi di Karnoouh: «Siamo forse giunti ad essere i testimoni dell’incarnazione di quello che Nietzsche chiamò l’ultimo degli uomini, oggi l’uomo dell’iperconsumo, della disocuppazione di massa e di quelle immense bidonvilles che a poco a poco stanno ammobiliando un pianeta rovinato e ottenebrato? A me pare che si debba rispondere affermativamente a questa domanda. Niente infatti mi sembra possa salvare la società della modernità tardiva dal compiersi della catastrofe che, secondo colui che resta il vecchio maestro di una lucidità estrema, Heidegger, si è già verificata da un pezzo» (Ivi, pp. 39-40).

Una lucidità che consentì a Heidegger di cogliere persino lo sviluppo dei cosiddetti reality showdenudazione, pubblicizzazione, generalizzazione di qualsiasi stato d’animo» (...) esautorazione della parola (...) caccia alle esperienze vissute» (Contributi alla filosofia, Adelphi 2008, § 58, pp. 141-142)- e la crisi dell’Università europea, caduta nella dinamica di una aziendalizzazione che la nega, la distrugge, la trasforma in uno strumento di conferma dell’esistente e non di sua critica, atenei che –appunto- «diventano puri istituti aziendali sempre più “vicini alla realtà”» (Ivi, § 76, p. 169). Permise di cogliere soprattutto la continuità fra i Lager e la distruzione delle risorse naturali del pianeta, senza le quali la vita va scomparendo dalla Terra: «Il lavoro del contadino non provoca il terreno, bensì affida la semina alle forze della crescita, proteggendola nel suo allignare. Nel frattempo, tuttavia, anche la lavorazione della terra si è convertita nel medesimo ordinare che assegna l’aria all’azoto, il terreno al carbone e al minerale metallifero, il minerale all’uranio, l’uranio all’energia atomica e quest’ultima a una distruzione che può essere ordinata. L’agricoltura è oggi industria alimentare meccanizzata, che nella sua essenza è lo Stesso (das Selbe) della fabbricazione di cadaveri nelle camere a gas e nei campi di sterminio, lo Stesso del blocco e dell’affamamento di intere nazioni, lo Stesso della fabbricazione di bombe all’idrogeno» (Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi 2002, pp. 49-50).

Quale riunione-parata dei miserabili potenti contemporanei che utilizzano persino la tragedia dei terremotati abruzzesi per la loro pubblicità planetaria, ben protetta da soldati in assetto di guerra, quale di questi grotteschi G8 è in grado di pensare ciò che accade (questo è la filosofia) e quindi porre argine a tale distruzione?

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