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Guarire dal covid: roba da ricchi?

Un articolo di Daniela Musumeci, diffuso dal circuito Pressenza.

di Redazione - domenica 16 gennaio 2022 - 3931 letture

In questi giorni ci capita di verificare il nesso teoria-prassi sulla nostra pelle: dopo esserci battuti negli ultimi due anni di sindemia contro i brevetti privati dei vaccini, che dovrebbero essere bene comune, contro l’ennesimo risvolto della questione meridionale globale, che lascia il sud del pianeta preda di varianti del virus pronte a dilagare anche al nord, e, più da vicino, contro l’abbandono della medicina di prossimità o territoriale, contro il deliberato sfascio della sanità pubblica deciso da una politica prona agli interessi finanziari multinazionali, per una società della cura efficiente e gratuita che non sia delegata alla supplenza della dedizione femminile nel privato, ecco che d’improvviso ci accorgiamo che non ci siamo impegnati solo su questioni di principio o su valori etici, ma che ne va della nostra pelle e di quella delle persone care… Il politico diventa di colpo personale, quando ti riscopri positivo/a dopo la terza dose (che, in ogni caso, ti salva la vita!) e quando si ammala qualcuno accanto a te.

Bisogna dunque che racconti a partire da me…. Il 31 luglio scorso la mia mamma ultranovantenne viene ricoverata per frattura scomposta del femore e noi figli non possiamo assisterla per via delle misure anticovid. Dopo sei giorni di degenza (di cui tre in astanteria, legata a una barella, per contenere quello che chiamano “delirio da ospedalizzazione”), chirurgo e anestesista ci dissuadono dall’operarla per l’alto rischio di “morte chirurgica”. Perché non siamo stati consultati prima? Le avremmo evitato giorni di angosciosa solitudine e segregazione. Purtroppo non c’erano anestesisti sufficienti per via dell’emergenza covid…. È la risposta. La riportiamo a casa e il medico di famiglia diagnostica un’imminente occlusione intestinale: in ospedale nessuno aveva mai controllato che si liberasse dalle feci. Risolviamo pagando privatamente un infermiere che pratica un clistere.

Qui devo aprire una parentesi: non intendo affatto accusare il personale medico e sanitario in genere, che invece si prodiga ben oltre i suoi doveri professionali e obblighi contrattuali; intendo invece sottolineare la necessità della moltiplicazione di assunzioni e impieghi in tutti i settori! E tanto meno intendo screditare il servizio pubblico: mio padre è stato pediatra all’Ospedale dei Bambini di Palermo per quasi un ventennio e poi, per un altro trentennio, medico della mutua in un quartiere popolare della città; io ho educato migliaia di giovani in quasi quarant’anni di scuola statale. È il rigetto del pubblico che intendo denunciare.

Ma torniamo al racconto. Mamma viene meravigliosamente accudita dall’assistenza domiciliare di una onlus convenzionata, che si affianca alle nostre tre badanti. Riceve a casa la terza dose del vaccino dagli operatori dell’Hub della Fiera del Mediterraneo e il vaccino antinfluenzale dalla dottoressa di famiglia. Ma il mondo si oscura quando una bronchite ci fa scoprire che è positiva. La onlus sospende le visite, in attesa di attivare la squadra anticovid, il che necessita di almeno una settimana di iter burocratico; il medico di famiglia non può intervenire a casa poiché c’è positività conclamata; io e una delle badanti siamo positive sintomatiche e costrette all’isolamento; il controllo domiciliare e i tamponi sono solo a pagamento (15 euro il rapido, 70 il molecolare), sarà dunque a nostro carico dimostrare di essere guarite.

Per la terapia di mamma ricorriamo alle telefonate: compriamo il rilevatore della saturazione del sangue, per misurare la quantità di ossigeno presente e quindi la funzionalità polmonare; riferiamo alla dottoressa e lei calibra l’antibiotico e il mucolitico… Nel frattempo giunge notizia della fila di autoambulanze a sirene spiegate che protestano a ridosso dell’Epifania davanti all’ospedale Cervello, ospedale che converte i reparti di ostetricia e ginecologia in reparti covid, mentre dappertutto vengono sospesi i ricoveri, gli interventi e le procedure ambulatoriali per altre patologie, oncologiche, autoimmuni e così via.

Mia madre, abbastanza lucida, nonostante alcune ombre di demenza senile, teme un nuovo ricovero. La tranquillizzo: non solo i suoi sintomi sono ormai in netto miglioramento, ma negli ospedali non ci sono più letti… Proprio non ce la vorrebbero… Continuerà ad essere curata a casa, privatamente e a pagamento, in una casa della media borghesia palermitana. Ma altrove? Improvvisamente capisco: ecco perché gli ospedali rigurgitano di malati! La medicina di prossimità è pressocché inesistente, ogni cura è a carico dell’ammalato, salvo parziali rimborsi a seguito della dichiarazione dei redditi. E i senza reddito? E chi non dispone di “surplus” immediatamente spendibile? Telefoni al 118 o vada al Pronto Soccorso!

Il problema non è medico ma politico!

È dell’altro ieri la notizia, data on line dal quotidiano Il Giorno, dell’esaurimento dell’antibiotico Zitromax, il più usato nella terapia anticovid, ormai introvabile nelle farmacie, e che scarseggia, pare, anche negli ospedali. Che cosa si prospetta? È azzardato immaginare circuiti di mercato nero? Chi specula? Chi guadagna? Sappiamo con certezza solo chi perde: gli esseri umani più fragili in ogni angolo del mondo e il nostro senso di appartenenza all’umanità e alla Terra tutta.


L’articolo di Daniela Musumeci è stato pubblicato da Pressenza



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