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Grazie, Albania

Ringraziamo la solidarietà albanese per l’aiuto professionale che ci hanno offerto in nome di un’antica fratellanza. La memoria ci ricorda un’altra storia.

di Piero Buscemi - mercoledì 1 aprile 2020 - 1956 letture

Dovremmo chiederci il perché qualcuno ci ringrazia mentre ci invia soccorso logistico in medici e personale sanitario. Dovremmo chiedercelo specialmente quando la nazione generosa è l’Albania. La domanda, se dovesse essere interpretata come accusatoria, la dovremmo porre a noi italiani che riceviamo questa riconoscenza.

A cosa si riferiva il premier albanese, Edi Rama, quando commosso ha annunciato l’invio in Italia di trenta tra medici e infermieri, per ricambiare l’amicizia e l’accoglienza che l’Italia riservò all’Albania negli anni Novanta dello scorso secolo?

Molti di noi l’hanno vissuta quell’amicizia, quell’accoglienza, quello scontro culturale. Quella che allora fu considerata un’invasione etnica, come nel nostro presente è considerata quella che proviene dall’Africa. Qualcuno se lo ricorda lo scontro a fuoco al porto di Brindisi una mattina di fine marzo 1997, tra i marò del battaglione San Marco e un peschereccio di qualche centinaia di albanesi. Quando il sottosegretario agli Interni, Giannicola Sinisi spiegò che sulle nostre coste non stessero arrivando più profughi, gente spaventata, ma uomini e donne che venivano da zone dove la rivolta non era neppure arrivata. Gente in cerca di una vita migliore, un lavoro più redditizio. In poche parole, immigrati.

Erano gli anni in cui sembrava che tutte le vicende in Italia legata alla gestione del malaffare tra prostituzione, spaccio, estorsione passasse tra le mani degli albanesi. Ci fu pure un periodo che essere albanese voleva dire anche essere stupratore, ladro, ubriacone, se si giudicava un uomo. Adescatrici, badanti in cerca di anziani da circuire e sposare in cambio di una pensione di reversibilità. O più direttamente delle prostitute, se fosse stata una donna quella da mettere sul patibolo.

Qualcun altro si ricorderà lo schieramento massiccio delle nostre forze armate lungo le coste pugliesi a respingere quello che all’epoca fu definito un esodo senza controllo. Si ricorderà la nave Vlora, quell’estate del 1991 che giunse sulle coste italiane con il suo carico di ventimila albanesi in fuga. Quest’ultimo ricordo non dimostrò un valido motivo di generosità umana e di accoglienza per il quale pronunciare un grazie. Quell’estate lo stesso quotidiano Avvenire denunciò la latitanza della politica italiana davanti alla tragedia di un popolo.

Certo negli anni a venire gli accordi bilaterali tra le due nazioni segnò l’inizio di una risoluzione politica. Il 24 agosto del 1991 una delegazione italiana, guidata dall’allora Ministro dell’Interno Vincenzo Scotti, si reca a Tirana e conclude con le Autorità albanesi un Intesa: Accordo di cooperazione tra il Ministro dell’Interno della Repubblica Italiana e il Ministro dell’Ordine Pubblico della Repubblica di Albania per la lotta contro il traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope e contro la criminalità organizzata.

Se si pensa a quello che si stava vivendo in Italia in quegli anni, specialmente se si parla di criminalità organizzata che nel nostro Paese vuol dire mafie, se si pensa alle vicende che già dal 1992 hanno segnato la storia italiana per sempre, con gli attentati di Capaci e di via D’Amelio, assume un significato ambiguo pensare alle motivazioni che avevano condotto le due nazioni a trovare un accordo.

Da quel primo incontro ne sono seguiti altri. Molti di natura prettamente economica. Molti imprenditori italiani hanno trovato l’Eldorado in Albania, specialmente in campo edilizio. Un’invasione, stavolta al contrario che oggi è diventata oggetto di studio per la speculazione edilizia che città come Durazzo devono far fronte e che, nei frequenti terremoti che si verificano in Albania, terra a grosso rischio sismico, ha manifestato la fragilità di un territorio, invaso dal cemento. Un problema emerso anche di recente, in occasione del terremoto verificatosi il 26 novembre scorso quando a Durazzo intere palazzine si sbriciolarono, tra questi anche due hotel.

Sono passati trent’anni da quei contatti diplomatici e presumiamo che certi messaggi di fratellanza e di scambi culturali, e di tutto quello che occorre per restituire un’immagine artefatta ma che suscita emozione, proprio in un momento di confusione come quello che stiamo vivendo, abbiano sfruttato l’assoluta conoscenza storica delle nuove generazioni e delle evidenti amnesie di quelle vecchie.


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