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Gente di Roma

Torna Ettore Scola, con un film "corale", slegato, discontinuo, episodico, sulla variegata fauna romana.

di Sergio Di Lino - giovedì 20 novembre 2003 - 7563 letture

Che un regista come Ettore Scola, maestro riconosciuto del cinema italiano tout court (non solo commedia, dunque), accetti alla veneranda età di settanta anni di rischiare e rimettersi in gioco realizzando un film in digitale, agile e snello come un esempio di cinéma-verité d’annata, senza con ciò virare dalla sua poetica di stampo umanistico-affabulatorio, è senz’altro una nota di merito. Che per ottenere ciò, il buon Scola sia costretto a ripiegare sul bozzetto localistico e vagamente cartolinesco sulla Roma-Capitale, popolata di personaggi-macchietta senza spessore né profondità, è una colpa, specie per un fine sceneggiatore come lui, che si è decisamente poco inclini a condonare. "Gente di Roma" è un collage di episodi minimalisti aventi come unico comun denominatore un ipotetico itinerario tranviario attraverso i quartieri più significativi della città; e se alcuni di questi sketches possiedono una relativa autonomia drammaturgica (soprattutto quello sull’autobus, protagonisti un logorroico Salvatore Marino e un laconico Valerio Mastandrea), la maggior parte degli episodi possiede una valenza di poco superiore alla barzelletta. Il tentativo, va da sé, è quello di creare un affresco corale, variegato e multiforme (oltre che, ma guarda un po’, multiculturale e interrazziale) che faccia della differenza (di sguardo e di rappresentazione) la propria linea maginot. Ma l’accumulazione di singoli frammenti pare non produrre in realtà alcuna sintesi, e a latitare è proprio la determinazione univoca di un discorso unitario che si faccia visione del mondo, e soprattutto di una città. E non bastano certo le digressioni fantastico-soprannaturali in un cimitero, con un esangue personaggio che ascolta le voci dei morti (con annessa citazione dostoevskijana affidata alla voce dello stesso Scola), o i ripetuti riferimenti all’attualità (Nanni Moretti e Vittorio Foa che arringano le folle, una puntata - assolutamente pleonastica - al Gay Village) a conferire spessore e consistenza a una scrittura tanto frammentaria quanto asfittica. Alla fine, di Roma restano alcuni scorci piuttosto risaputi e una generale sensazione di precarietà e incompletezza: ma dove sono le borgate, i quartieri limitrofi, e soprattutto la gente che li abita? Siamo veramente sicuri che la chiosa più esatta per un film del genere sia il silenzioso, malinconico incontro tra due anziani in una Piazza di Spagna deserta illuminata dalle prime, pallide luci dell’alba? Certo, a ben guardare, "Gente di Roma" si segnala comunque per un uso consapevole del mezzo digitale, lontano dai dogmi di facciata e vicino - come dovrebbe essere - alla realtà. Ma rimane la fastidiosa sensazione di un’occasione buttata malamente alle ortiche, un atto mancato d’autore, un film monco e (volutamente?) incompiuto. Peccato.


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