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Franco Fortini a Catania nel ’64

Il grande critico era già stato in Sicilia in gioventù: nel maggio del ’38 a Palermo aveva partecipato ai Littoriali degli universitari, una sorta di gara tra studenti di tutt’Italia, ideata e voluta dal regime fascista.

di Silvestro Livolsi - martedì 25 marzo 2014 - 4129 letture

Sono passati cinquant’anni, da quando Franco Fortini approdò a Catania, invitato nella città etnea dagli animatori del Cuc, il locale Circolo Universitario Cinematografico, uno dei punti di riferimento più importanti per gli intellettuali e i gruppi politici giovanili che in città si muovevano per promuovere una nuova cultura, progressista e alternativa a quella che dominava largamente nell’università e nella società catanese, attardata e spesso fortemente reazionaria.

Il grande critico era già stato in Sicilia in gioventù: nel maggio del ’38 a Palermo aveva partecipato ai Littoriali degli universitari, una sorta di gara tra studenti di tutt’Italia, ideata e voluta dal regime fascista. Il capoluogo gli aveva fatto un’ottima impressione: la città e le sue rilevanti testimonianze d’arte, lo avevano affascinato, in particolare gli stucchi del Serpotta, che gli ispireranno addirittura un racconto, La morte del cherubino.

Quel soggiorno in Sicilia, Fortini, lo rievocò, 50 anni dopo, nel 1988, sul Corriere della Sera, scrivendo ’di non aver conosciuta una primavera come quella, di non aver visto più un mare come tra Cefalù e Palermo’; del suo peregrinare per l’isola ricordò i treni lenti e vecchi che lo conducevano in città e paesi dove ‘le forme delle donne, le contadine nere, lo trapassavano come coltellate’ e le giornate - durante le quali ‘riusciva a sfamarsi con qualche frutto, una scatoletta di carne, un po’ di pane asciutto’ - trascorrevano ricche di scoperte paesaggistiche e monumentali.

A Monreale, ‘i mosaici, il chiostro, la valle, il silenzio’, lo incantano, ma a stupirlo di più è quel che vede dopo, quando gli ’vennero incontro sei o sette ragazzotti, dal riso perverso e goffo’, e lo ’guidarono poco oltre verso quello che sembrava esere un carcere’. ’In un piccolo cortile’ - ricorda Fortini - ’c’era un ossario all’aria aperta, con qualche muffa verde cresciuta sulle tibie. Dalle pareti, infagottati in sacchi grigi, pendevano forse una dozzina di corpi ridotti a mummie o scheletriti come alla Catacomba dei Cappuccini di Palermo, non però come quelli tenuti con qualche rispetto, anzi con mascelle e femori legati alle bene e meglio da spaghi; e ce n’erano che si trascinavano come fantocci sull’impiantito o, per aumento di orrore, spezzati a metà, ritti in piedi fino alle ossa del bacino, gli penzolavano giù torace e cranio’.

A Siracusa lo colpì la Venere Landolina che gli parve testimonianza tra le più esemplari dell’arte classica nell’isola; poi, di Agrigento, ultima tappa del suo tour, Fortini racconta: ’arrivai ai templi per una lunga strada polverosa su di una vecchia bicicletta presa in affitto vicino alla stazione. Quelle erano le prime costruzioni greche che avessi mai vedute. Non c’era nessuno. Vento teso sull’erba. Più tardi col gregge ed il cane passò un pastore. La città era lontanissima, una striscia bianca sul colle. Dal tempio della Concordia vedevo il mare. La bicicletta – troppo tardi me ne accorsi – non aveva freni. Quando mi decisi a tornare, il sole era alto e caldo. Giù per la discesa, fra paura e fatica, ero finito in un fosso, con un breve svenimento. Arrancai a piedi fino alle prime case. Una donna mi portò sulla via una catinella con un po’ d’acqua, perché mi lavassi la mano e la faccia; anzi mi cucinò un pesce d’uovo, come chiamano la frittata’.

Di Fortini a Catania, nel marzo del ’64, ne ha fatto, invece, una ricostruzione Anna Carta parlandone ad un convegno dedicato allo scrittore e saggista, a dieci anni dalla sua morte, che si tenne nella città etnea nel 2004; la Carta, lavorando sui documenti d’archivio del Cuc catanese ha rintracciato il testo della conferenza che Fortini tenne a Catania e alla quale aveva dato per titolo ’Organizzazioni politiche e intellettuali di sinistra in Europa negli ultimi cinquant’anni’. La conferenza, informa la Carta, si svolse in una saletta del centro, affittata per l’occasione, dato che il rettore aveva negato, agli organizzatori dell’incontro, un’aula all’università. Fu un discorso che Fortini pronunciò in ’una sala zeppa come un uovo, in un’ora e mezza durante la quale non si sentì volare una mosca’, scrisse anni dopo su Mondoperaio, Giampiero Mughini, ricordando l’evento e aggiungendo: ’una funzione religiosa meritò raramente tanto silenzio. Una mia amica, che se ne stava in un angolo, mi disse più tardi di aver pianto: per la commozione e la tensione’.

Gianpiero Mughini era anche lui membro del Cuc catanese e in quegli anni era impegnato nell’animare una rivista, Giovane critica, che, nata, prodotta e pubblicata a Catania, grande importanza e successo avrà in ambito culturale a livello nazionale. Le impressioni sulla città, Fortini le affidò ad una poesia, scritta in una stanza d’albergo, dal titolo Agli amici catanesi: come spiega la Carta, nei versi di Fortini, Catania appare come ‘una conca, un fosso che nasconde la vista della Storia’, uno ‘spazio astratto, di antica bellezza, dove la natura vegetale e minerale convive con la cultura’, una città presa da un tempo che ‘è quello del mito, non della storia’, immobile dunque: ma animata adesso da un gruppo di agguerriti giovani, politicamente impegnati e studiosi, verso i quali Fortini nutre simpatia, sapendo di condividere con loro la memoria dei fatti tragici accaduti qualche anno prima, in occasione delle proteste operaie del luglio del ‘60 in Italia e che avevano avuto, proprio a Catania, un epilogo drammatico, dove un corteo di lavoratori in sciopero era stato assalito dalla polizia che aveva sparato sui manifestanti, facendo una vittima.

Quegli avvenimenti, che avevano costituito, per Fortini, un punto di svolta nella sua visione della società italiana - che vedeva minacciata da una pericolosa deriva autoritaria, l’avevano portato a scrivere, con urgenza, la sceneggiatura di un film, Allarmi siam fascisti, che uscì, prontamente, nelle sale italiane, all’inizio del ’61. Il film documentando le dimostrazioni dei lavoratori avvenute nelle maggiori città italiane, mostrava l’intervento spropositato e repressivo delle forze dell’ordine e si concludeva con le immagini del cadavere del manifestante ucciso a Catania dalla polizia, il giovane edile, originario di Agira, Salvatore Novembre. Quel film, i giovani del Cuc catanese lo avevano proiettato nel ’63, offrendolo in visione ad una città che si stava scrollando di dosso pigrizie e indifferenze e che Fortini trovò, quindi, un anno dopo, pronta a far proprie le sue preoccupazioni e le sue sollecitazioni: ’La vostra coscienza cosa ha da dire? Bisogna scegliere, bisogna decidere. Il vostro destino è solo vostro. Rispondete’.


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