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Fondo Casella: divisi alla meta

In progetto diverse cause contro gli amministratori del Fondo Casella ma manca una visione unica. L’afasia del sindacato e le sue responsabilità

di Adriano Todaro - mercoledì 29 aprile 2015 - 7935 letture

Troppi silenzi e nessuna trasparenza. Si potrebbe semplificare in questo modo la vicenda che riguarda i 16 mila pensionati poligrafici dipendenti dei quotidiani e del Fondo Casella per la pensione integrativa. Avevamo già in un precedente articolo fatto il punto su questa vicenda e avevamo messo in rilievo le incongruenze e i personaggi che sono protagonisti di questa brutto episodio.

Il Fondo Casella, istituito nel 1958 fra editori dei giornali e impiegati e operai poligrafici, ha erogato una pensione integrativa a tutti coloro che lavorando in campo editoriale, ogni mese versavano contributi così da integrare, al momento della pensione, la cifra che l’Inps avrebbe corrisposto ad ogni singolo lavoratore.

Questo è avvenuto, come ricordavamo nel precedente articolo, sino al 2014. Poi arriva a tutti i pensionati una lettera dove si annuncia un taglio del 25% a titolo di Contributo di solidarietà. La crisi è sotto gli occhi di tutti e non ci sono proteste. Poi, il 30 gennaio 2015 altra lettera dove, in pratica, si dice che il Fondo si è sbagliato perché “Le parti istitutive del Fondo Casella, con l’accordo sindacale del 18 dicembre 2014, hanno deliberato di aumentare dall’1 febbraio 2015 il Contributo di solidarietà dal 25 al 50%...”.

Le motivazioni di questo prelievo era stato determinato, secondo i dirigenti del Fondo, non solo dalla crisi generale del Paese ma da “un calo degli addetti e del monte retributivo-imponibile superiore alle previsioni, tanto da rendere, in proiezioni futura, insufficiente il precedente intervento che sarebbe risultato adeguato in condizioni di invarianza dei parametri ‘iscritti-retribuzioni’…”.

Ora che ci fosse un calo degli addetti, considerato i licenziamenti e le chiusure di testate in campo editoriale, era evidente. Meno evidente il fatto che fosse “superiore alle previsioni”. E chi doveva fare queste previsioni in “condizioni di invarianza dei parametri”? Evidentemente i dirigenti del Fondo che stanno lì pagati proprio per questo tanto più che sono tutti dei grandi esperti di editoria.

Com’è che l’avvocato Fabrizio Carotti, presidente del Fondo e contemporaneamente direttore della Federazione italiana editori giornali, non s’è mai accorto di questa “invarianza”? (Nel Paese del conflitto d’interessi per eccellenza, è “normale” che il presidente del Fondo sia anche direttore della Fieg). Com’è che un commercialista come lui, docente universitario, collaboratore del Sole-24Ore, membro della Commissione per la Riforma del diritto societario del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, collaboratore del Presidente della Bicamerale e tantissime altre cose non si sia mai accorto di nulla? E com’è che tutti gli altri membri del Consiglio, compresi i sindacalisti, abbiano continuato imperterriti a non dir nulla e a non far nulla? E i revisori dei conti?

Il fatto è che sin dal 1998 si sapeva che il Fondo era a rischio di default e che ora i dirigenti indicano per il 2018. Chiaro che davanti a questa mancanza di professionalità, a questo laisser faire, laisser passer, i percettori del Fondo siano incazzati. Ma mentre i princìpi liberali, alla fine del 1600, vedevano un “ordine naturale” da rispettare e seguire per il maggior vantaggio di tutti, qua da noi è tutto molto più banale. Lasciar fare, lasciar passare che poi le cose si aggiustano, in un modo o nell’altro. Il vecchio metodo democristiano che ha portato il nostro povero Paese allo sfascio.

Prima però di parlare degli ex poligrafici è necessario ricordare a tutti come viene gestito questo Fondo che ha un pingue numero di persone che lo amministra, ben 28, molti di più di una grande azienda come la Fiat o il Corriere della Sera. Il Fondo può vantare anche 29 dipendenti, 2 impiegati part-time e 2 dirigenti.

Nell’ultimo bilancio risulta che ognuno di loro riceve, dal Fondo, per mangiare, 12.167 euro l’anno in buoni pasto. Naturalmente, come avviene sempre nel nostro Paese, quando le aziende sono in crisi, si licenziano i lavoratori ma non si toccano le retribuzioni dei dirigenti. Anzi. Recentemente è successo alla Whirlpool ma potremmo citare decine e decine di aziende. Anche il Fondo Casella si adegua all’andazzo generale. Si tagliano le pensioni di coloro che ogni mese hanno versato, regolarmente, un contributo e si aumentano gli emolumenti per gli amministratori che, compresi i gettoni di presenza ammontano a 294.692 euro (erano 289.514 nello scorso esercizio). Poi ci sono 326.082 euro di compensi professionali e 2.765.947 euro per il personale dipendente.

Non vogliamo ripetere le altre spese perché sono stati oggetti di un precedente articolo del 25 febbraio 2015 e che riguardano le trasferte e i rimborsi spese, la manutenzione Internet, le pulizie ecc. Ci sembra più interessante fare un confronto con altri fondi pensionistici ed esattamente il Fondo Cometa, Fonchim e Byblos.

Fondo Cometa: iscritti 417.000; costo di gestione, 3,3 milioni di lire; costo annuo sulle entrate, 0,3%; dipendenti,13; costo per dipendente, 60 mila euro; costo di gestione per ogni iscritto, 8 euro.

Fondo Fonchim: iscritti 150.000; costo di gestione, 3 milioni di lire; costo annuo sulle entrate, 0,6%; dipendenti,15; costo per dipendente, 70 mila euro; costo di gestione per ogni iscritto, 20 euro.

Byblos: iscritti 34.000; costo di gestione, 1,2 milioni di lire; costo annuo sulle entrate, 1,6%; dipendenti, 7; costo per dipendente, 60 mila euro; costo di gestione per ogni iscritto, 35 euro.

Casella: iscritti 20.000; costo di gestione, 4,0 milioni di lire; costo annuo sulle entrate, 6,0%; dipendenti, 32; costo per dipendente, 85 mila euro; costo di gestione per ogni iscritto, 200 euro.

I numeri saranno anche freddi e aridi ma sono molto esplicativi. Il Fondo Cometa ha 417 mila iscritti e 13 dipendenti; il Fondo Casella con soli 20 mila iscritti ha 32 dipendenti. Ogni dipendente del Fondo Casella costa molto di più degli altri. Di grazia, avvocato Carotti, come mai? Cosa fanno di più degli altri impiegati degli altri Fondi?

Dicevamo prima che gli ex lavoratori delle industrie editoriali sono incazzati. Questo è vero fino ad un certo punto. E qua bisogna aprire un discorso che riguarda anche i sindacati che all’interno del gruppo dirigente del Fondo sono ben 12 con una divisione da manuale Cencelli: 6 per la Cgil, 3 per la Cisl, 3 per la Uil. Tutte persone che dovevano controllare l’andamento del Fondo e che, forse sbadatamente, non l’hanno fatto. In tutta questa vicenda non c’è uno straccio di comunicato sindacale che riguarda il Fondo Casella, non ci sono prese di posizione. Niente di niente. Questo, evidentemente, disorienta gli ex lavoratori che non hanno un punto di riferimento preciso. Capiamo che parlare di corda a casa dell’impiccato non è semplice ma il sindacato non può far finta di niente. E’ stato lui che ha messo quelle 12 persone per controllare. Se non l’hanno fatto, il sindacato deve prendere posizione decisamente. Anche contro i 12.

Alla fine dello scorso febbraio, nel salone della Camera del Lavoro di Milano, (come si è detto all’inizio dell’assemblea, gentilmente concesso ma che con l’assemblea non c’entrava nulla) sono arrivate ben 600 persone. In quell’occasione si erano presi impegni ben precisi, si era costituito anche un coordinamento di cui, però, si sono perse le tracce. Ci sono gruppi di lavoratori che hanno promosse cause con legali romani, altri con legali milanesi, altri ancora attraverso un’associazione di consumatori.

Possiamo dire che oggi ci sono tre grandi filoni: un gruppo di lavoratori di varie città ha incaricato due legali romani (Alessio Ciasco e Fabio Di Marziantonio) i quali hanno proposto due cause: una civile e una penale; un gruppo di 68 ex poligrafici sta con lo studio di Carlo Amoruso, sempre di Roma, il quale ha scritto contestando i tagli del Fondo e, infine, a Milano, un altro gruppo sta con lo studio legale di Gilberto Pagani. Insomma ci si sta disperdendo in mille rivoli non essendoci un coordinamento nazionale e un’unica causa.

Senza ricorrere allo slogan degli anni ’70 del secolo scorso – “Uniti si vince” – è evidente che la frantumazione, la mancanza di unità porterà ad una intrinseca debolezza di tutti coloro che sono contro i tagli del Fondo e per una gestione democratico dello stesso.

Questa della mancanza di coordinamento è, di fatto, una irrisolutezza. E i dirigenti del Fondo lo sanno benissimo anche perché possono contare dalla loro parte la posizione ambigua del sindacato.

Per ultimo alcune cose che riguardano avvenimenti recenti e meno recenti di questa vicenda. Dicevamo che l’avvocato Carlo Amoruso ha scritto non solo al Fondo ma anche, giustamente, alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione e al sindacato. Ebbene, la Commissione non risponde quasi a nessuna delle contestazioni dell’avvocato. Si limita a ripetere cose risapute che ha già detto e scritto il Fondo Casella. Sembra vadano all’unisono, in tandem. “L’equilibrio finanziario – scrive la Commissione – in detti contesti, risulta quindi strettamente connesso, tra l’altro, al rapporto tra lavoratori attivi e lavoratori in quiescenza …”. Ma va! verrebbe da dire. E i controlli, la vigilanza? Di questo non si parla. Ma la Covip ci fa notare che c’è una legge che stabilisce che “qualora i fondi pensione… che procedono alla erogazione diretta delle rendite non dispongano di mezzi patrimoniali adeguati in relazione al complesso degli impegni finanziari esistenti, le fonti istitutive possono rideterminare la disciplina, oltre che del finanziamento, delle prestazioni, con riferimento sia alle rendite in corso di pagamento, sia a quelle future”.

Chissà perché non cita anche la sentenza 26102/2014 della Cassazione dove si sottolinea che “Una volta maturato il diritto alla pensione di anzianità, l’Ente previdenziale debitore non può con un atto unilaterale, regolamentare o negoziale, ridurne l’importo, tanto meno adducendo generiche ragioni finanziarie, poiché ciò lederebbe l’affidamento del pensionato, tutelato dal capoverso dell’articolo 3 della Costituzione, nella consistenza economica del proprio diritto soggettivo”.

Penosa la risposta del Fondo Casella attraverso il loro legale. In via preliminare, respingono “con fermezza” le affermazioni dell’avvocato Amoruso relative a pretese “gravissime anomalie nella gestione amministrativa e finanziaria del Fondo”. La prosa è debole ma il senso chiarissimo e, comunque, ci ricorda che l’aumento delle aliquote contributive “è stata concordata tra le Parti Sociali”. Traduzione: rivolgetevi ai sindacati che hanno firmato. Appunto, uno degli attori principali, desaparecidos.

C’è stata anche una riunione a Bologna lo scorso 24 aprile. Qua i sindacati c’erano (Cisl e Uil di Bologna). I risultati, però, sono stati deludenti. E c’era anche un rappresentante del Consiglio di amministrazione del Fondo Casella. E attraverso il suo intervento si scopre che all’interno del Fondo esiste un piccolo fondo dedicato ai dirigenti. Decurtati anche loro perché il momento è difficile? Niente affatto, loro sono dirigenti e i soldi continuano a prenderli, pienamente.

E finalmente è uscita fuori anche la questione che riguarda gli immobili di proprietà del Fondo. La sede del Fondo, a Roma, è in una zona centrale, molto appetibile. Il Fondo aveva altri immobili. Un patrimonio immobiliare che si aggirava attorno ai 70 milioni di euro. Sono stati venduti. A chi? A quanto? Secondo il rappresentante del Fondo gli immobili sono stati venduti a valore adeguato. Possiamo vedere i documenti relativi alla vendita? Non c’è risposta.

Questa questione degli immobili è interessante perché sfocia in una questione di natura penale sollevata, per ora, solo dai due avvocati romani (Ciasco e Di Marziantonio) che ravvisano appropriazione indebita in quanto ci sono perizie e parcelle gonfiate “agli stessi appartenenti del Fondo del Consiglio di amministrazione”.

Per il 30 aprile, intanto è convocata una riunione presso il campo sportivo del Corriere della Sera. Un’iniziativa che, a prima vista, sembra molto estemporanea. Chi sono gli invitati? Qual è l’ordine del giorno? Perché presso un campo sportivo e non in una sede “più istituzionale” E perché mai si deve farla alle 12,30 consumando il relativo pranzo? Sembra un ritrovo di “reduci” e come sempre, un ritrovo triste che si consuma davanti ad un piatto di lasagne o di risotto. E’ necessario uscire dalla clandestinità e fare fronte comune perché la controparte è forte e organizzata. Come diceva il “cafune” Giuseppe Di Vittorio, “L’unità, compagni lavoratori, non è solamente per noi un grande strumento di difesa dei nostri interessi e di conquista dei nostri diritti particolari, l’unità sindacale è anche il tessuto su cui fondare l’unione più larga di tutto il nostro popolo. È una condizione di stabilità della democrazia italiana”.

Insomma una grande confusione sotto il cielo del Fondo Casella. Ma una soluzione sembra esserci. Ed è quella che scrive la Commissione di Vigilanza dei fondi pensione quando spiega il perché delle decurtazioni. Ad un certo punto chiarisce che è la conseguenza “del numero dei soggetti in quiescenza (conseguenza naturale dell’allungamento della vita media)”.

La colpa di ciò che sta avvenendo, è dei poligrafici, dunque, che vivono troppo. Ecco, un suicidio collettivo di tutti gli ex poligrafici sarebbe la soluzione. La soluzione finale.


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