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Expo. Milano in festa, ma il cardinale ricorda anche i romeni e i diritti umani violati

Una festa "americana" con majorette e quintali di coriandoli tricolori in attesa del diluvio di soldi

di Adriano Todaro - martedì 8 aprile 2008 - 3294 letture

Milano è una strana città. Oggi è la città della moda, ma nel passato è stata la città delle fabbriche. Poi, col tempo, la “Milano da bere”, delle tangenti, la città laboratorio della politica e, spesso, anche la città dell’accoglienza, quella con il “cuore in mano” come dice una celebre canzone.

Quanto meno, quindi, una città contraddittoria che impazza per l’assegnazione dell’Expo 2015 e nello stesso tempo è arida, meschina, intollerante con gli stranieri, i poveri, i marginali, tutti coloro, insomma, che non hanno contrattualità in questa società. Una città che si aspetta dall’Expo un grande diluvio di soldi, ma a cui non interessa come saranno spesi. Una città mercantile che già conta gli incassi e non si preoccupa, minimamente, delle brutture che si faranno, delle trasformazioni viabilistiche-architettoniche.

La città dei 20 miliardi di investimenti e dei 40 milioni di visitatori previsti; la città con 70 mila nuovi posti di lavoro nell’edilizia ma che non si domanda minimamente chi saranno e come vivranno questi lavoratori. E, come ha sottolineato il consigliere Basilio Rizzo in Consiglio comunale, queste persone lavoreranno in nero nei cantieri mentre la sera si faranno fiaccolate per scacciarli dalla città.

Certo, non c’è solo questo. Ci sono associazioni, parrocchie, volontari che hanno gridato la loro preoccupazione per l’Expo. Ma sono minoranze. Destra e sinistra (più o meno istituzionale) sono unite nel tessere le lodi alla sindaca Moratti. Contro l’Expo c’è qualche architetto, qualche persona molto nota come Celentano, ma sono, appunto, testimonianze. (Anche Berlusconi è contro la costruzione delle torri-grattacielo, ma lui per motivi di bassa cucina).

I più sono felici. E lo si è visto domenica 6 aprile, nel pomeriggio, nella via dello shopping della città, corso Buenos Aires. Più di 200 mila persone (secondo gli organizzatori 500 mila) si sono dati appuntamento, alle 14,30, in questa via per festeggiare “Letizia”. Sì perché la protagonista numero uno, è la sindaca Letizia Moratti. Lei, giubbino arancio e pantalone marrone, ha avuto il suo bagno di folla. Un pomeriggio “all’americana” così come vuole il “nuovo che avanza”: majorette, banda e cannoni che sparavano quintali di coriandoli tricolori. L’hanno chiamata, appunto, la “victory parade” in ossequio al vezzo di abolire la nostra lingua. Lei, la sindaca, passava su un pullman scoperto e con lei il suo vice, Riccardo De Corato, il presidente della Regione, Roberto Formigoni, il presidente della Camera di commercio, Carlo Sangalli e il presidente della Fiera, Luigi Roth.

Più che newyorkese, la festa era molto strapaese, con banchetti enogastronomici e giocolieri. Una festa fatta, appunto, per “strabiliare”, per dimostrare che Milano è grande e può tutto, la capitale morale che si può permettere anche queste feste che appagano l’occhio e non fanno troppo pensare. Fra la folla plaudente, anche il sottosegretario agli Esteri, Bobo Craxi, il presidente della Provincia Filippo Penati e vari deputati come Barbara Pollastrini, milanese, ministro delle Pari opportunità e alcune comunità straniere che hanno offerto ai cittadini i loro prodotti alimentari.

Non c’erano, invece, i romeni di via Bovisasca che erano stati i protagonisti della settimana. Nei giorni che hanno preceduto la grande kermesse milanese, su ordine del vice sindaco De Corato, ex fiamma tricolore oggi Alleanza nazionale, sono state distrutte 180 baracche in tre diverse zone di Milano. Il risultato è stato che ben 205 romeni si sono messi in giro per Milano per trovare un riparo. Sono nate altre baraccopoli, immediatamente distrutte. De Corato, però, non parla di “sgomberi” ma di “allontanamento”. Disquisizione sottile perché, ha spiegato, se si fosse trattato di “sgomberi”, il Comune avrebbe dovuto dare loro un’assistenza, cosa impossibile visto che “i nostri centri d’accoglienza sono stracolmi di rom romeni”. E così niente assistenza. L’ambizioso titolo dell’Expo è “Nutrire il pianeta”, ma a Milano non si riesce neppure ad assistere 205 romeni.

Da via Bovisasca, i romeni si sono spostati a poco più di un chilometro in uno sterrato vicino al quartiere di Quarto Oggiaro. Trasportando le loro povere cose in sacchi della spazzatura, su biciclette di fortuna e scatoloni caricati su auto da rottamare, i nomadi hanno tentato di insediarsi in questa zona. Reti arrugginite, qualche betoniera abbandonata, scheletri di camion, polvere e squallore. Un posto non certo per vivere.

Anche in via Bovisasca non era meglio. Ma, almeno c’era una parvenza di vita, una comunità funzionante. Poi è arrivata, su altissimi tacchi, Daniela Santanché, candidata della Destra e il giorno dopo le ruspe. I bambini dei rom (non tutti però lo sono, la maggior parte sono romeni) di via Bovisasca andavano a scuola grazie all’opera continua di insegnanti e volontari. Oggi non più. Dispersi in questa Milano che non ha tempo di preoccuparsi dei bambini nati, ma che si preoccupa molto di quelli che non sono ancora nati e degli “estremisti” che impediscono a Giuliano Ferrara di parlare.

Ancora una volta sono state le autorità ecclesiastiche a sferzare amministratori e candidate premier. E’ stato il cardinale Dionigi Tettamanzi a ricordare che i romeni lavorano nell’edilizia: “Che ne sarebbe dell’imprenditoria milanese senza la manovalanza a bassissimo costo dei romeni?”. Ma la Curia non ha detto solo questo, ha parlato anche di diritti umani violati e si è domandata: “Allontanare questi disperati, senza pensare per loro un’alternativa, cosa produce?”. Come detto si sono solo spostati in altre zone: “Tra loro – scrive il comunicato della Curia – molti giovanotti (rientrati precipitosamente dai cantieri dove lavorano per ricostruire la propria ‘casa’) ma purtroppo anche donne in avanzato stato di gravidanza, una ventina di bimbi sotto i dieci anni e diversi piccoli al di sotto di un anno. In tarda mattinata le ruspe hanno di nuovo demolito questa ulteriore sistemazione”.

La legalità, ci ricorda la Curia, è sacrosanta. Ma qui si sta scendendo abbondantemente sotto i limiti stabiliti dai fondamentali diritti umani “che imporrebbero, insieme allo schieramento delle forze dell’ordine in atteggiamento antisommossa, qualche tanica d’acqua, del latte per i più piccoli, un presidio medico, qualche soluzione alternativa per i bambini, i malati e le donne in gravidanza”.

La ricettività di alcuni posti, come la Casa della Carità di don Colmegna è completa, quindi, continua il cardinale, è necessario la costituzione di un tavolo istituzionale per risolvere il problema. “C’è da augurarsi – questo l’affondo finale – che il clamore e i festeggiamenti per la grande opportunità conquistata con l’Expo 2015 non diventino il paravento e il pretesto per nascondere o spostare un metro più in là, i drammi di questa città”.

E mentre la Lega promette “ronde padane”, alcuni romeni si sono spostati “un metro più in là”, sotto un ponte della ferrovia. A pochi metri passano i treni, ma loro e i loro bambini neppure li sentono. Stanno tutti assieme, uno addosso all’altro, quasi a farsi forza e coraggio. Di loro non se ne cura quasi nessuno. Di certo non se ne preoccupano né Letizia Moratti e neppure Riccardo De Corato. Loro hanno in mente una città diversa, con tante torri ma senza marginali e stranieri, senza poveri e immigrati visibili che rovinano il decoro della città. Che stiano pure sotto i ponti, l’importante è che domattina stiano nei cantieri, puntuali, per costruire, in nero, l’Expo 2015. Forse qualcuno cadrà da qualche impalcatura. Ma è l’inevitabile tributo al progresso. La “victory parade” può continuare.


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Expo. Milano in festa, ma il cardinale ricorda anche i romeni e i diritti umani violati
24 aprile 2008, di : Jean Paul Two

Queste ronde hanno un nonsocchè di ridicolo: pensate che qualche anziano pensionato possa combattere il crimine? Chiamare al cellulare le forze dell’ordine lo può fare chiunque assista ad un episodio criminoso ad una certa distanza di sicurezza (mi è capitatop di farlo più volte da semplice cittadino e da solo, senza ronde e rondò).

Perchè delegare alle ronde ciò che può fare chiunque allora? Vorrei che qualcuno me lo spiegasse.