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Democrazia e diritti? Fuori dai cancelli Fiat

Contratti separati, diritti negati, non riconoscimento delle sentenze. E’ questa la "modernità" Fiat? Anche nel 1993 la Fiat aveva derogato con l’assenso sindacale prendendosi, per Melfi, 4.884 miliardi di lire.

di Adriano Todaro - mercoledì 8 settembre 2010 - 2558 letture

Nel momento in cui scriviamo queste note, non sappiamo ancora cosa abbia deciso di fare l’associazione padronale Federmeccanica. Il 7 settembre, i padroni metalmeccanici si riuniranno per decidere se derogare, quindi disdire, il contratto unitario del 2008 approvato dalla maggioranza dei lavoratori e valido sino al 2012.

Una decisione, quella di Federmeccanica, che viene a seguito della presa di posizione della dirigenza Fiat di non accettare il responso della magistratura sul reintegro di tre lavoratori iscritti alla Fiom, e precedentemente licenziati dalla fabbrica automobilistica.

La vicenda è conosciuta e non stiamo a ripeterla. Quello, però, che fa specie è come davanti ad un’abnormità del genere, dove sono in gioco non solo la sorte e il futuro dei tre lavoratori, ma la nostra democrazia, gli spazi democratici di tutti, la maggior parte di giornali e commentatori si sono inginocchiati davanti ai desiderata dell’uomo col maglioncino girocollo blu, Sergio Marchionne.

Passi per la signora Emma Marcegaglia che deve difendere il podere e il potere padronale, ma è scandaloso che la politica si schieri, di fatto, con il capo della Fiat anche quando parla di derogare sui diritti costituzionali.

Ma che Paese è mai diventato questo? C’è, dunque, un contratto in vigore. Un anno dopo la firma, alcuni sindacati (Cisl, Uil, Ugl) firmano un contratto separato dove ci sono meno diritti per i lavoratori e meno regole da rispettare per la Fiat. Il contratto separato, così come vorrebbe non solo la prassi istituzionale, ma una minima regola democratica, dovrebbe essere sottoposto al giudizio dei lavoratori. Ma non si fa.

Perché questo? Perché Bonanni, Angeletti e compagnia hanno paura del responso dei lavoratori. Perché è necessario far passare sotto silenzio l’abolizione del ruolo di rappresentanza dei sindacati e tornare così a un rapporto diretto con i lavoratori singolarmente, così da ricattarlo, da renderlo più debole, più pauroso di esercitare il proprio diritto.

A Melfi ci hanno provato. I risultati del referendum non sono stati, per la Fiat e sindacati acquiescenti, un grande risultato. Ma loro, uniti, insistono e vanno avanti.

Sergio Marchionne, quando era stato nominato amministratore delegato della Fiat, aveva fatto “sognare” il centrosinistra smemorato. Era definito l’uomo nuovo, quello moderno. Via i vestiti grigi e funerei alla Romiti e sotto con i maglioncini: “Il costo del lavoro – aveva dichiarato a quel tempo Marchionne – non è un problema, non licenzierò nessuno e non chiuderò stabilimenti”. Ammaliati da questa frase, il centrosinistra cominciava a vedere Marchionne come Montezemolo, magari, nel futuro, in politica.

Era, invece, la solita topica di una certa sinistra(?) italiana, una delle tante. Ora Marchionne dice che bisogna fare come lui ha deciso di fare. In caso contrario, porta le fabbriche in Polonia.

Cosa c’è di moderno in questo ricatto? E’, appunto, un ricatto e come tale non avrebbe dovuto neppure essere preso in considerazione. Quando Marchionne parla di “cambiare”, di licenziare tutti quelli di Melfi e riassumere solo coloro disposti alle deroghe contrattuali, l’amministratore delegato pensa al modello Fiat che ha instaurato in Polonia. I 6.500 lavoratori della fabbrica Fiat di Tychy, nel 2009, hanno lavorato 48 ore a settimana per circa 600 euro netti al mese compresi turni di sabato e domenica.

E’ questa la modernità? O piuttosto non dovrebbe essere la ricerca, per costruire meglio le automobili, renderle compatibili con l’ambiente, meno inquinanti? E sono forse meno “moderni” i tedeschi della Volkswagen che guadagnano più di noi?

Ma nessuno, o pochi, chiedono a Marchionne queste cose. A Rimini, al meeting di Comunione e liberazione, Marchionne è stato osannato. Il tema della sua prolusione non poteva essere meno indicata: “Scegliere la strada”. E lui l’ha scelta, in modo deciso e sicuro che anche questa volta la Fiat vincerà. “Non credo sia onesto – precisa Marchionne – usare il diritto di pochi per piegare il diritto di molti”. In questa frase c’è tutta la summa della filosofia dei padroni. Il diritto di pochi… E chi sono i pochi? “La dignità e i diritti non possono essere patrimonio esclusivo di tre persone. Sono valori che vanno difesi e riconosciuti a tutti”.

Marchionne parla di “onestà”, “diritti”, “dignità” che non sono ascritti ai tre licenziati, ma ai padroni. Anche quelli che si fanno dare i soldi dallo Stato e poi scappano con la cassa? Anche le banche che non danno i crediti ai piccoli imprenditori dopo che lo Stato ha salvato loro i bilanci? Se fossimo in un Paese serio, gli ascoltatori di queste frasi gli avrebbero dovuto tirare le uova. Ma siccome siamo in un Paese che è tutto, ma non serio, ecco allora che in gran numero vanno in soccorso del maglioncino blu. Della Marcegaglia abbiamo detto. Il ministro Sacconi, invece, sostiene di non volersi esprimere sulla questione. Poi, però, non si frena e si chiede (e chiede a noi) “Se oggi è ancora possibile un picchetto, una minoranza che blocca l’ingresso di merci in fabbrica, che blocca una linea di produzione. Mi domando se siamo usciti dal tempo in cui una minoranza può bloccare le produzioni e disincentivare un investimento”.

Anche noi avremmo voluto fare alcune domande a Sacconi. La prima: come ha fatto a diventare, a suo tempo, socialista? Ma andiamo avanti. Il grande economista Giulio Tremonti, un altro che il centrosinistra vedrebbe bene come presidente del Consiglio, ha affermato che “Una certa quantità di diritti e regole è un lusso che non ci possiamo più permettere: il rischio è di avere i diritti perfetti ma la fabbrica poi va da un’altra parte”. Per lui è insostenibile la normativa sulla sicurezza sul lavoro, la famosa legge 626, che comunque è disattesa tanto che ogni anno muoiono in fabbriche e cantieri più di mille lavoratori. Ed anche la ministra Mariastella Gelmini ha voluto dire la sua invece di interessarsi dei 200 mila precari della scuola. La donna che è stata “licenziata” dal suo stesso partito per “incapacità”, quando era presidente del Consiglio comunale di una cittadina sul lago di Garda, la persona che l’abilitazione professionale l’ha conseguita in Calabria, si schiera con decisione dalla parte dell’amministratore delegato Fiat: “Quella di Marchionne è una scelta coraggiosa. Le sentenze vanno sempre rispettate ma vanno rispettate anche le aziende”. Lapalissiano!

Anche il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, ha, finalmente, detto la sua sulla vicenda dopo settimane e settimane di afasia. Alle loro feste, i Pd invitano Schifani, ma non i tre operai licenziati. Poi, finalmente parla, ma lo fa solo dopo che ha preso posizione il presidente Napolitano: “E’ indispensabile non far cadere il senso dell’appello di Napolitano sul caso Fiat di Melfi. Il richiamo ad un confronto pacato e serio sulle relazioni industriali”. Cosa significa? Ci avete capito qualcosa? Tre operai vengono licenziati, i magistrati obbligano la Fiat a riassumerli, si impedisce loro di lavorare, quindi si disattende una disposizione dei magistrati e un diritto costituzionale e Bersani se ne esce chiedendo un “confronto pacato e serio sulle relazioni industriali”. Boh!

Ma torniamo alle cose serie. Qual è il piano Marchionne? Quale i punti della sua strategia? Si va dall’aumento delle ore di straordinario al recupero delle ore perse perché le linee, per cause di forza maggiore, si sono fermate, dal non pagare i primi tre giorni di malattia alla regolamentazione del diritto di sciopero, dalla diminuzione delle ore di riposo da un turno all’altro all’abolizione della pausa pranzo. E poi, tanto per non farsi mancare nulla, il taglio dei permessi sindacali, ma solo per i sindacalisti “dissidenti”.

E’ la “modernità” della “Fabbrica Italia” e intanto a Melfi non si possono neppure fare le assemblee retribuite perché Cisl e Uil non sono d’accordo. Assemblee, in quella fabbrica, non se ne fanno da otto mesi eppure non si possono riunire i lavoratori per discutere di questi problemi. E’, forse, anche questa una “scelta coraggiosa”? E Sacconi che era preoccupato della minoranza che detta legge, su questo non ha nulla da dire? La Fiom, a Melfi, è il primo sindacato e com’è allora che Cisl e Uil dettano legge?

Ricordo molto bene quando la Fiat aveva deciso di insediarsi a Melfi, in quello che veniva chiamato il “prato verde”. Alla Fiat erano stati dati 4.884 miliardi di lire e accordi con i sindacati erano stati firmati in deroga alle normative Cee sui turni notturni, anche per le donne, per 6 giorni la settimana e in più le “modernissime” gabbie salariali. Col tempo e una dura lotta Melfi aveva vinto, ma a quel tempo, siamo nel 1993, anche nei convegni sindacali si vedevano queste deroghe come interessanti. L’allora direttore del personale, Maurizio Magnabosco, aveva parlato ad un convegno della Cgil presentando la fabbrica di Melfi come “ciò che sorge in un prato verde dal punto di vista delle relazioni industriali e dove cioè i soggetti che entrano in questa fabbrica sono completamente diversi rispetto alla tradizionale classe operaia italiana e perciò privi di pregiudiziali conflitti…”. Magnabosco era stato applaudito e la sua tesi non aveva scandalizzato i dirigenti sindacali, ma solo i delegati di fabbrica. Con molta lucidità era intervenuto nel dibattito anche Pietro Ingrao con un articolo sul manifesto del 9 febbraio 1993 criticando le deroghe concesse sul lavoro notturno, sprezzantemente tacitato da personaggi come Ottaviano Del Turco, in quel momento segretario aggiunto della Cgil. “Ingrao fa poesia – si disse da più parti – ma con la poesia non si riempie la pancia”.

Come si vede non è cambiato nulla. Il 7 Federmeccanica deciderà cosa fare, il 15 settembre l’associazione padronale ha chiamato i sindacati a discutere delle deroghe ad esclusione della Fiom perché non firmataria dell’ultimo contratto separato, il 6 ottobre i giudici decideranno sul ricorso presentato dalla Fiat, il 16 ottobre ci sarà uno sciopero nazionale metalmeccanico indetto dalla Fiom. Inutile dire che tifiamo per il 16 ottobre. Se la manifestazione riuscirà, allora significa che i lavoratori hanno ben compreso la posta in gioco.

Nel frattempo, un “aiutino” a Marchionne arriva anche dalla stampa. Panorama sbatte in copertina la foto dei tre licenziati con un grosso titolo: “Gli eroi bugiardi”. Secondo il settimanale berlusconiano, è vero che i tre hanno bloccato i carrelli ostacolando, così, la produzione. Lo affermano, scrive il settimanale, alcuni lavoratori di Melfi che però, hanno aggiunto, “di non voler raccontare ai giudici quello che hanno visto per il timore di ritorsioni”.

Sì, speriamo veramente che la manifestazione del 16 ottobre riesca.


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