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Da 160 giorni sulla torre. Abbandonati da tutti

Continua la protesta dei ferrovieri milanesi nel silenzio assordante di quasi tutti i mezzi d’informazione, di sindacati e politici. La solidarietà viene solo da cittadini senza potere. Una lotta modernissima per mettere il lavoro al centro dell’iniziativa politica

di Adriano Todaro - martedì 15 maggio 2012 - 3546 letture

Sono 160 giorni. Sospesi su una torre da circa 50 metri ci stanno, a turno, da 160 giorni. Giorni terribili, con il freddo intenso, il gelo, la neve e, poi, con il passare dei giorni, anche con il sole, con il caldo anomalo di certe settimane, e poi la pioggia e ancora freddo e caldo.

Domenica 13 maggio, ad esempio, di mattina pioveva a dirotto e la temperatura, dai 28 gradi afosi dei giorni prima, è scesa a 12 gradi. E loro stanno lassù, nei due metri quadri a disposizione, con la plastica che li difende malamente dalla pioggia, con i sacchi a pelo o a torso nudo quando fa molto caldo. Non è semplice passare, in uno spazio ristretto, 160 giorni. Con i pasti che i compagni, da sotto, mandano su con la carrucola, con il water chimico che mandano giù per scaricarlo, con problemi anche di salute e di stress.

Quando hanno cominciato la protesta, fra l’8 e il 9 dicembre 2011, nevicava. Tre lavoratori dei treni notturni delle Fs ‒ Giuseppe Gison, Carmine Rotatore e Oliviero Cassini ‒ avevano deciso di arrampicarsi sulla torre per protesta contro la soppressione dei treni notturni da parte dell’amministratore delegato di Fs, Mario Moretti, l’ex sindacalista Cgil passato dalla difesa dei lavoratori ai licenziamenti degli stessi.

Una storia, questa, di passioni, ma anche di orgoglio e dignità. Una storia di lavoratori testardi nel difendere non solo il proprio posto di lavoro, ma anche un servizio per tutti, per non dividere ancor più questa Italia già violentata, derubata, irrisa e divisa dai moti padani-leghisti.

Una storia, questa, scritta non da dinosauri del passato, ma da persone in carne ed ossa, viscere, sentimenti. Che vorrebbero poter lavorare e tornare a casa dalla moglie, dai figli, dalle persone care. Una storia di affetti recisi perché gli affetti vengono violentati quando sei costretto a restare per tantissimi giorni su una torre. Sì, si fa in fretta dire 160 giorni. Ma sono 3.840 ore! Ore strappate alla quotidianità, alla normalità della vita di tutti giorni fatta di fatiche e piccole soddisfazioni. Agli affetti. Ai sentimenti.

Mauro Moretti, l’amministratore delegato Fs, ha uno stipendio di 880 mila euro. Potrà mai capire la lezione di dignità che stanno dando questi lavoratori? Cosa penserà di loro, della loro lotta? Ma lui non è stato messo in quel posto per pensare, quanto per "sistemare" le ferrovie italiane, per far funzionare le varie Frecce, garantire servizi inappuntabili per manager e politici sulla tratta Milano-Roma. E’ stato messo lì, in quel posto, per licenziare i lavoratori della Wagon Lits, fare accordi con aziende straniere (Veolia Transdev) e assumere lavoratori in Francia. E’ lì per acquisire aziende straniere, tedesche e svizzere.

Per fare ciò, per questo lavoro che tutto sommato è lavoro sporco, ha bisogno di mistificare la realtà, di raccontare fandonie. E’ la prima è stata che il servizio dei treni-notte era deficitario. Quello che però non ha detto l’ad, già inquisito per la strage di Viareggio (32 morti), è che dal 2008 è in atto un boicottaggio da parte della dirigenza di Trenitalia. Le prenotazioni sono falsate così da far risultare i treni sempre pieni e in più con pulizia e manutenzione praticamente inesistente.

Dovrebbe vergognarsi e dimettersi questo personaggio. Ma non lo farà perché lui è congeniale al "potere" e questo ha bisogno di esecutori, di persone disponibili a tagliare l’altrui posto di lavoro, pur di far carriera. Sì perché se Moretti dovesse andare via da Trenitalia, ce lo troveremo senza dubbio in qualche altra azienda statale o privata, non sulle torri a protestare, ma comodamente seduto sulla poltrona più morbida possibile.

I ferrovieri continuano la lotta con i loro presidi del "cuore e del coraggio" come li hanno chiamati loro stessi. Cuore e coraggio. Per una lotta così lunga ed aspra, spesso solitaria, ci vuole proprio tanto cuore e tanto coraggio.

Dalla torre-faro per primo era sceso Giuseppe Gison, 44 anni, due figli, sceso per motivi da salute dopo 43 giorni. Poi, il 25 gennaio è stata la volta di Carmine Rotatore, 45 anni, tre figli. Si era sentito male ed erano intervenuti vigili del fuoco e Croce Rossa. Dopo 80 giorni è sceso Oliviero Cassini, 48 anni. E’ sceso per abbracciare la figlia Laura, la sua bambina di 8 anni, orfana della mamma (morta di parto) che vive con la nonna. Ora, sulla torre, ci rimangono Stanislao Focarelli, 37 anni salito il 3 febbraio scorso e Rocco Minutolo, 28 anni di Oppido Mamertina (Rc), salito il 25 febbraio scorso.

La vertenza, intanto, non fa passi in avanti. Ci sono 800 lavoratori in tutta Italia e 152 in Lombardia che attendono dal dicembre 2011 di sapere qualcosa sul loro futuro. La Regione Lombardia ha fatto un accordo con Cisl e Uil (la Cgil non ha firmato) per ricollocarli attraverso corsi di aggiornamento. E così può capitare che agli addetti al ricevimento e accompagnamento dei viaggiatori dei treni-letto offrano un corso per manovale, per imparare a mescolare, in pratica, acqua e malta. Per questi corsi la Regione Lombardia ha stanziato ben 5 mila euro al giorno per 35 giorni. A sindacalisti e funzionari non passa neppure per il cervello che, magari a 50 anni di età, non è possibile "riqualificarsi" da addetto ai vagoni letto a manovale.

E ci sono anche giudizi molto duri e polemici da parte dei ferrovieri che stanno sopra e sotto la torre, quelli che dormono nelle tende, che assistono i loro compagni, che gli preparano i pasti, il caffè. Focarelli afferma che i sindacati sono spariti dopo le prime comparsate, dopo le telecamere accese per immortalare Susanna Camusso, all’inizio. "Qui ‒ afferma Stanislao ‒ potremmo pure morire che per loro non cambierebbe molto. Tra l’altro la stessa Cgil, non facendo niente per la nostra vertenza di fatto avalla quel documento regionale che ci mette in difficoltà, anche sull’eventuale possibilità di accedere ai posti di lavoro, il nostro lavoro, sugli eventuali treni di giugno che sono stati annunciati".

Difficile dargli torto. Milano non ha mai fatto una manifestazione sindacale in solidarietà con questi ferrovieri. Anzi spesso li ha messi in cattiva luce. Gigi Petteni, segretario generale di Cisl Lombardia, ha dichiarato a Repubblica che: "Il primo che è sceso dalla torre è andato poi a lavorare con l’accordo fatto da noi. Nessuno di quelli che hanno fatto passerelle, invece, ha poi dato un posto di lavoro". Immediata la risposta piccata di Giuseppe Gison, il primo a scendere dalla torre. Ha una moglie e due figli e ha parlato chiaro: "Non sto lavorando assolutamente. Petteni dovrebbe dire per quale azienda lavoro. La sua affermazione sulle passerelle è squallida. Le prime assunzioni, secondo l’accordo firmato, sarebbero dovute scattare dal primo gennaio. Non c’è traccia di uno straccio di lavoro. Un sindacalista che fa le dichiarazioni che ha fatto lui è solo un fallito. Uno nella sua posizione dovrebbe chiedersi non se lavora chi è sceso per primo dalla torre, ma se l’ultimo degli ottocento licenziati ha riacquistato il proprio diritto".

Miserie umane, si dirà. Ma se si osserva bene la situazione è incredibile che un sindacalista parli così di un lavoratore in lotta invece che criticare aspramente coloro che, di fatto, obbligano i lavoratori alla lotta. Un segno dei tempi, certo, un segno negativo dove sempre più si nota il distacco fra chi lavora e chi dovrebbe difendere questi lavoratori. La proposta delle ferrovie per risolvere la vertenza ha del vergognoso perché offende la dignità dei lavoratori e per primi avrebbero dovuto criticarla e opporsi proprio i sindacalisti. In pratica, le ferrovie garantiscono 12 mesi di lavoro ma in compenso chiedono un impegno scritto da parte dei lavoratori di rinunciare a qualsiasi contenzioso nei confronti dell’azienda di Moretti. Un accordo che costerebbe dalle 250 alle 550 euro lorde. Un’elemosina offensiva.

Sotto la torre, in questi 160 giorni, sono venuti in tanti. Quelli noti, prima di arrivare, avvertivano giornali e televisioni. Era la passerella. Dichiarazioni altisonanti, sembrava quasi che di lì a poco dovessero sorgere le barricate. Ora sono tutti scomparsi. Continuano ad arrivare le persone comuni, la gente che sa cosa significa vivere del proprio stipendio, che conosce le difficoltà del lavoro, della fatica del lavorare. Oggi i ferrovieri sopra e sotto la torre-faro al binario 21, sono più soli. Sono stati prima blanditi e poi dimenticati da quasi tutti i mezzi d’informazione, dalle istituzioni, dai sindacati, dai politici. I quali non hanno ben accolto la decisione dei ferrovieri in lotta di non volere al loro presidio nessuna bandiera di partito o sindacale.

Prima, quando un treno entrava alla stazione di Milano o quando usciva dalla stazione, fischiava in segno di solidarietà. Oggi i macchinisti hanno avuto la consegna, dalla loro direzione del personale, di non fischiare più pena ammonimenti. Il tentativo è quello di far dimenticare questa lotta di civiltà, di farli arrendere, di isolarli ulteriormente, di farli scendere dalla torre, vinti e disponibili ad accettare qualsiasi compromesso, dimostrare che la lotta non paga.

E’ il solito vecchio metodo da padrone delle ferriere. L’ex comunista ed ex sindacalista Mauro Moretti forse pensa e si illude di essere lui il padrone delle ferriere. Ma lui è solo un esecutore vecchia maniera. E l’illusione sta nell’immaginare l’immaterialità della modernità, una modernità senza operai. L’illusione di considerare il lavoro come una delle tante variabili del mercato.

La risposta a questo vecchio metodo è là, alla Stazione Centrale di Milano, sopra e sotto la torre-faro. Quei ferrovieri stanno difendendo il loro posto di lavoro e il nostro diritto alla circolazione. Una lotta modernissima, non un reperto archeologico.


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