Così parlò Matteo

Sei riuscito a far piazzare microfoni tra le bottiglie di vino in una cena, nelle candele sul tavolo di una riunione e persino telecamere dentro i lampadari. Vergognati!!!

di Deborah A. Simoncini - mercoledì 20 gennaio 2021 - 1563 letture

Alle otto del mattino Matteo era già in piazza davanti al palazzone in attesa. Entrò, varcò la soglia e fece sparire il suo solito sorriso. Si era preparato il discorso e continuava a ripeterselo:

Come i servi sciocchi hai abusato delle attribuzioni che ti sono state conferite e continui a calpestare le persone che avrebbero il dovere di aiutarti e sostenerti. Le tue comunicazioni non sono destinate a chiudere il caso, ma a spalancarlo in pubblico. Hai diffuso un autentico labirinto di informazioni intossicate, enfatizzate ad arte dai giornali. Vuoi mettermi con le spalle al muro e chiudere con la mia storia. Hai indagato – e continui a farlo – con microspie e telefoni sotto controllo.

Sei riuscito a far piazzare microfoni tra le bottiglie di vino in una cena, nelle candele sul tavolo di una riunione e persino telecamere dentro i lampadari. Vergognati!!! Vuoi far credere a tutti i costi che il tuo governo funzioni a meraviglia? Ricordati che dipendi interamente dal Ministero dell’Economia che è una vera e propria cassaforte. Le tue parole eversive richiederebbero un intervento dell’Arma ancora fedele alle istituzioni.

Quando si rimetteranno in fila le date, i protagonisti, le dichiarazioni, si sveleranno tutte le bugie che hai spacciato per vere. Sono stato sempre pronto a un confronto pubblico con chi mi accusa, non sono come altri politici che fanno la scena muta e non dimentico i nomi dei miei nemici. Mi ricordo ancora i troppi segnali ostili dentro e fuori dalle istituzioni che mi sono stati lanciati addosso quando ero al governo al tuo posto. Chi mise insieme lo scandalo Consip? Poteri oscuri hanno contribuito al disastro del referendum costituzionale, alla progressiva dissoluzione del Partito democratico e a tutte le disgrazie politiche che mi obbligarono a lasciare la poltrona di capo del governo.

Io seguo un’altra strada, il mio è un libro politico nuovo. Tu mi attribuisci cose che non ho mai detto e azioni che non ho mai compiuto. Ne prendo atto. Ma non mi accontento. La mia forza sta nella velocità e nell’inventiva. So riconoscere le persone, organizzare e governare, a partire dalle strutture, conosco e so scegliere gli obiettivi.

Perché io a differenza di te leggo, e so leggere le carte. Ho molti difetti, ma non certo la superficialità, né l’approssimazione. Tu mi consideri un imbecille di talento, ma sei tu a essere assolutamente inintelligente, a non possedere alcuno spirito critico, alcuna immaginazione. Ti senti così sufficientemente forte da poter imporre le tue proprie condizioni?

Giuseppi lo sai tu che non puoi esitare a modificare la tua compagine, i nomi e i profili psicologici, tutti quegli elementi giudicati inappropriati, poco credibili o contraddittori che ne fanno parte.

I senatori sorridevano di fronte a tanta ingenuità pretenziosa, ma lui non se ne curava. Dopo che Matteo ebbe letto il proprio documento ad alta voce, Giorgio, afflitto dalla gotta, si alzò faticosamente dalla sua sedia, ma com’era successo più volte durante la seduta, scoprì di essere troppo esausto per tenere un discorso. La schiena era come una trave di legno secco, in cui erano state conficcate decine di chiodi. Le gambe non gli appartenevano, sfuggivano a ogni comando.

“Tu come al solito Matteo ti diverti a mettere i bastoni fra le ruote …!”, riuscì solo a pronunciare. Aveva bisogno di un “agente politico” e - nel voler fare la scelta giusta - chiese a Mario che aveva venti anni di meno dei suoi anni, di aprire la cartellina e leggere gli appunti.

Aveva paura e temeva di sembrare goffo, timido e impudente, in definitiva di essere considerato poco intelligente. “… vorrei che fosse lei … caro collega … ”. Mario non esitò ad accettare l’offerta quale incarico informale.

Signor presidente” esordì con una voce stridula rivolgendosi a Giuseppi. “Confesso che ci sono diverse parti del suo discorso che al momento non approvo, ma per onestà le devo dire che non sono sicuro che mai le approverò. Ho vissuto a lungo e mi è capitato molte volte di essere spinto da informazioni migliori, o riflessioni più approfondite a cambiare opinione e perfino su argomenti importanti. Idee che ritenevo giuste, ma ho poi scoperto non esserlo.

Più divento vecchio e più sono pronto a dubitare del mio giudizio e a tenere in maggiore considerazione quello degli altri. In queste circostanze la scelta migliore è l’umiltà. Attingi alla vita reale è il gioco è fatto. I tempi sono aspri e il governo deve essere aspro. E’ stato osservato più volte che spetta al popolo controllare chi governa. Ma è chi governa che detta le regole e definisce le politiche.

Che cos’è la volontà popolare, se non una “sintesi verbale”. La parte rilevante è data dall’interpretazione dei suoi rappresentanti. Il popolo con le elezioni esprime il proprio consenso e svolge una funzione di controllo. L’idea dello Stato rappresentante del popolo idealizza in modo molto elementare la democrazia. Ci dobbiamo ricordare che molte parti della società per secoli sono state escluse dalla rappresentanza, così come le minoranze di norma sono sottorappresentate.

La dialettica rappresentanti/rappresentati è fondamentale ed essenziale per la democrazia, ma se i rappresentanti sono scelti male, o sbagliano nell’interpretare la domanda popolare, risulteranno poco efficaci, o abuseranno del potere che sono legittimati a esercitare. Diventano un peso per la democrazia e ne impediscono la piena realizzazione. Quindi signor Presidente io do la fiducia al suo governo, perché non mi aspetto di meglio e non sono certo che non sia il meglio.

Erano le venti di sera quanto i senatori iniziarono a votare. La pandemia attutì l’impatto della polemica. Conte e Renzi restarono muti, erano pronti a firmare un contratto. Sarebbe stato lui a concludere l’affare.



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