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"Comunque prima c’era": un libro di Antonio Picariello

E’ uno scrigno, aperto ai lettori come fosse il tesoro degli Aztechi. Ci porta a spasso nei tropici che all’arrivo ci festeggiano regalandoci pirotecnici scoppi di rosso e di verde, di ocra e di cobalto...

di caterina sottile - giovedì 11 ottobre 2007 - 6235 letture

"Comunque prima c’era", di Pilò, pseudonimo di Antonio Picariello.

Edito da Archetip’Art, fa parte della collana Saint Expedit, diari di arte contemporanea. (E. 10.00)

E’ uno scrigno, aperto ai lettori come fosse il tesoro degli Aztechi. Ci porta a spasso nei tropici che all’arrivo ci festeggiano regalandoci pirotecnici scoppi di rosso e di verde, di ocra e di cobalto. La luce rovente del loro sole ci impone un’andatura più consona alla lentezza del ciclo della vita. Il Tempo incombe sull’abbaglio delle macchine, moscerini nel vento che proviene dall’origine del mondo. Un libro bellissimo, a cui siamo grati di averci ricordato cos’è l’incanto: si ascolta, si guarda, si sente a pelle. L’essenza dell’umanità moderna è raccontata attraverso la bellezza di ciò che c’è ma si coglie solo attraverso l’arte. Comincia come un film, una buona, vecchia sceneggiatura di quelle che richiedono una poltrona comoda. E garbatamente, l’’irruenza di una regia strabiliante si concentra sulla presa diretta di un uomo solo nella foresta dell’eremita che dovrebbe intervistare. Nel monologo di un uomo che parla a se stesso ci avvolge l’odore di libri e di inchiostro. La letteratura sboccia come le orchidee tropicali e invade ogni parte di noi. Breve e profondo, come uno specchio d’acqua, ricongiunge due parti di un mosaico danneggiato: l’Oriente e l’Occidente. Due racconti, CREOLI e GRIZZANA MORANDI, che scavano il confine tra due mondi. Nella linea che segna quella separazione traumatica c’è il vuoto della coscienza e della scienza. Il buco nero dentro cui precipitano le risposte che non si possono dare. Il bisogno d’amore a Saint Pierre de la Rèunion (Creoli) è sogno e silenzio; esplosione di profumo di vaniglia e natura arrogante che ingoia l’uomo incompiuto e ne riscopre l’animale perfetto. Nell’isola di Rèunion la natura è arte e la bellezza è contemplazione, nella fragranza della sua pulsione eterna. E nella lentezza di una modernità estranea i riti antichi della terra e del mare non devono temere l’interruzione del frastuono del nuovo. Il bisogno di sentire il proprio cuore che batte, lì si appaga stringendo la mano del maestro, "il curatore": saggio, elegante, paziente indiano seduto sul mondo che cambia ma senza temerne la foga. La sua pelle bruna ha assorbito le radiazioni ancestrali dell’alba della terra e tutto attorno è solo frescura della sera. Perché le risposte non date non lasciano il dubbio, ma lo leniscono. Creoli è un magnifico dipinto di passione e sapere; un racconto che emerge, come Citerea dal mare, in una tempesta di altre letture e di altre parole, pensate, perse, amate: "In me c’è qualcuno che crea le parole che io pronuncio". Il viaggio che porta via dall’Africa continua ad avere profumo di pelle bruna e di incenso del Tempio. E l’inquietudine dello spirito dell’isola si incarna nella forza travolgente di un uragano che ha il "nome di una bella creola". Ma è solo il nome con cui chiamare la nostalgia del ventre della madre terra. Via via che l’Occidente appare all’orizzonte, tra le nuvole di una traiettoria tra cielo e terra, tra essere e avere, tra l’io e l’es, i tumulti dell’anima hanno bisogno di essere catalogati e archiviati da una conoscenza che non conosce tutto e che chiama il bisogno di amore: malattia. Il volo di ritorno a Occidente è il purgatorio in cui si rimane sospesi, tra il rimpianto cruento di una carnalità che è percezione del mondo visibile e di quello che non vediamo, ma che vede noi. I profumi di terra viva stordiscono ma ricompongono le schegge dei dolori nell’armonia della resa. A Bologna la Dotta, il bisogno d’amore ridiventa: male di vivere.(Grizzana Morandi) La scienza d’Occidente non sa più decodificare la paura dell’immanenza della vita e rimuove come una patologia la fragilità, nella lotta uomo-natura. Nel corridoio di una clinica italiana che conduce lontano dal proprio bisogno d’amore, ciò che non è noto, non è ovvio, è solitudine e assenza. Un solo bisogno, sempre lo stesso, e due modi di appagarlo: l’accettazione o la rimozione, la forza rassicurante di ciò che non deve essere compreso o il disagio disturbante di non potersi permettere spazi inesplorati. "Comunque prima c’era" è una canzone a due voci, tra l’ossigeno e l’acqua, la scienza e l’essenza. Ed è una canzone che diventa "Urlo" quando il bisogno d’amore edulcora l’ossigeno e l’acqua con l’alcool, demone abbordabile, in assenza di dei e di cielo. La spiritualità, nell’Oriente immobile, è memoria di percorsi complessi e anche i demoni maligni pretendono la battaglia dei sensi. A Occidente la mancanza di quella memoria genera dolore, senza le ferite del coraggio. Ma lungo la linea del vuoto irrompe l’arte e riaggrega lo spirito e la carne, molecole nell’acqua dell’esistenza. Un libro che si legge arrampicandosi lungo le salite, ora riottose ora morbide, di una scrittura plastica, addomesticata dallo spazio, come la facciata di una cattedrale barocca. Da Creoli a Grizzana Morandi c’è il viaggio di un aereo che vola sul confine delle conoscenze umane. Antonio Picariello non può fare a meno di se stesso: questo libro è un dipinto che contiene tutti i pittori del mondo. Creoli è un racconto luminoso e brulicante, sanguigno come un quadro di Picasso; Grizzana Morandi è un dolore oscuro con potenti indizi di luce. E’ Caravaggio. E su tutto, l’immanente profumo della terra che partorisce i suoi figli, generati per amore soltanto.


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