Sei all'interno di >> :.: Primo Piano | Attualità e società |

Carceri: ancora suicidi

Dall’inizio dell’anno al 21 gennaio, già nove detenuti morti, di cui cinque suicidati. Il ministro Alfano promette elettoralmente l’assunzione di 1.800 agenti e l’attuazione del “Piano straordinario di edilizia penitenziaria”.

di Adriano Todaro - martedì 25 gennaio 2011 - 3004 letture

Mentre il ministro Angelino Alfano va cianciando, in giro per i convegni, di assumere 1.800 agenti penitenziari, blatera di nuove strutture penitenziarie, di diritti dei detenuti, sinergie equilibrate e, per non farsi vedere provinciale parla di “best practices”, nelle carceri si continua a morire.

Dall’inizio dell’anno al 21 gennaio 2011, nelle nostre carceri, ci sono stati, in totale, nove detenuti morti; cinque di loro si sono suicidati. Nel gennaio 2011 i suicidi erano stati sette. In tutto l’anno appena trascorso ci sono stati 66 suicidi, 1.134 tentati suicidi, 5.603 atti di autolesionismo. In 10 anni, sono morti 1.700 detenuti, di cui 1/3 per suicidio.

Contabilità macabra ma indispensabile per cercare di far capire la dimensione di questo dramma spesso, troppo spesso, occultato. Nelle carceri ci si toglie la vita perché manca la speranza, ci si ammazza perché non si sopporta il sovraffollamento delle celle, ci si ammazza perché stare magari per venti ore in branda, toglie la voglia di vivere.

Nel carcere di Caltagirone si è ucciso Salvatore Camelia, 39 anni, in carcere per aver tentato di uccidere la convivente romena di 35 anni. Si è ucciso col metodo più “semplice”: con un lenzuolo si è impiccato alla grata della finestra. Nel carcere di Prato si è ucciso il siciliano Antonino Montalto, 22 anni. Nessuna notizia su questo suicidio. Come avviene spesso le notizie dalle carceri fanno fatica a filtrare. Meglio sopire, nascondere, non informare. A Sulmona, invece, un carcere tristemente famoso per i suicidi, si è ucciso un detenuto egiziano di 66 anni, Mahmoud Tawfic.

La vicenda dell’egiziano, è la dimostrazione come nel nostro Paese si possa morire in carcere, anche dopo aver scontato per intero la propria condanna. Mahmoud Tawfic si è ucciso mercoledì 19 gennaio nel reparto internati. Bisogna sapere che nelle carceri ci sono due tipi di detenuti, quelli, diciamo così, “normali”, cioè il detenuto classico che è in galera perché sta scontando una pena e gli internati. Questi ultimi, dopo aver scontato la pena nel carcere “normale”, sono inviati nella cosiddetta Casa lavoro dove tutto si fa escluso lavorare. In questa Casa lavoro ci vanno coloro che debbono scontare le cosiddette “pene accessorie”.

Ci sono “pene accessorie” più lievi come il divieto di aver la patente, di uscire di notte, di frequentare pregiudicati ecc. e quelle più dure, appunto l’internamento nella Casa lavoro che è praticamente un altro carcere dove si sa quando si entra ma non, con esattezza, quando si uscirà. Questo dipende dal magistrato di sorveglianza che deve valutare se quell’internato è ancora “socialmente pericoloso” oppure no. E come fa a sapere il magistrato se non è più pericoloso? Si basa sui rapporti della polizia e su quelli degli educatori che essendo in numero limitato non ce la fanno a seguire tutti i detenuti-internati.

Sulmona ha 200 internati. Ma i posti disponibili sono solo 75. E così si vive ammassati in celle con tanti letti a castello, nell’ozio più assoluto. Una situazione terribile e angosciosa perché l’internato non ha notizie certe, non sa quando sarà il suo fine pena, quando uscirà. Se poi sei anche straniero e non conosci lingua e procedure, tutto diventa più difficile.

Mahmoud Tawfic aveva scontato una lunga pena ed era uscito dal carcere nell’agosto del 2010. Era approdato a Roma ed aveva tentato di rifarsi un’esistenza. Ma può rifarsela un egiziano di 66 anni, ex carcerato? Certamente è molto difficile perché non ci sono strutture assistenziali adeguate. Se ti manca la famiglia, la casa, il lavoro, sei finito. E così l’egiziano riprende a delinquere. Viene arrestato e inviato nella Casa di lavoro di Sulmona dove ha legato un lenzuolo alla grata e si è lasciato andare. Ha risolto così il suo fine pena.

Altro che articolo 27 della Costituzione, altro che “rieducazione del condannato”. Nelle carceri c’è l’illegalità più assoluta. In Italia non c’è la pena di morte, ma in realtà il carcere è un mondo a parte dove la Costituzione non è testo base di democrazia, è un optional. E nelle carceri, come visto, si muore.

Eppure il ministro Alfano straparla dei “diritti degli indagati” forse pensando al suo principale, della “protezione dei soggetti vulnerabili e l’assistenza alle vittime”, di “reinserimento sociale”. E straparla anche della necessità di “diminuire la recidiva”. Sono anni che sentiamo questi venditori di fumo riempirsi la bocca di termini inutili alla soluzione dei problemi. La recidiva, ad esempio, è un problema facilmente risolvibile. Ci confortano i numeri. Nelle carceri dove il detenuto è trattato da uomo e non come numero, dove si lavora, si studia, si fanno attività di volontariato, dove non si sta in 7/10 persone nelle celle, dove si pratica il trattamento avanzato, la recidiva è bassissima. Non così quando si lascia il detenuto per tante ore senza far nulla, nelle carceri dove, proprio per il sovraffollamento, manca anche lo spazio vitale per fare qualcosa. Quando esce dal carcere, questo detenuto è incattivito con tutti e quasi sempre tornerà a delinquere. Se veramente si ha a cuore la sicurezza dei cittadini, bisognerebbe cominciare a far funzionare le carceri in modo diverso e più umano. Non come ora che a fronte di 42 mila posti disponibili nelle carceri, ci sono quasi 70 mila detenuti.

Alfano in un convegno di Polizia penitenziaria a Milano, in videomessaggio, ha promesso l’assunzione di 1.800 agenti penitenziari entro il 2011 ed entro il 2012 il Piano straordinario di edilizia penitenziaria. Promesse e ancora promesse tanto non costano nulla. Non una riflessione seria sull’edilizia penitenziaria, ma solo la promessa che ci sarà più posto per i nuovi carcerati. Quindi, si prevedono ancora tanti ingressi nelle carceri. Tanti ingressi di stranieri, poveracci, persone deboli che danno fastidio a vedersi, che è meglio nascondere agli occhi dei cittadini benpensanti sempre più convinti che quando si finisce in galera è perché si è fatto qualcosa di molto grave. Eppure in galera c’è una percentuale altissima di persone che potrebbero benissimo scontare la loro lieve pena in altre strutture (e liberare così posti). Non ci sarebbe, in questo modo, il bisogno del fantomatico “Piano straordinario di edilizia penitenziaria” che, come al solito, scatenerà gli appetiti degli speculatori e degli amici degli amici.

Ci ha pensato il direttore del Dap lombardo (Dipartimento amministrazione penitenziaria), Luigi Pagano, uno che di carceri se ne intende veramente, a riportare alla realtà il dibattito fumoso che Alfano stava compiendo. “A San Vittore – ha affermato Pagano – il 40% dei detenuti entra ed esce nel giro di sette giorni. Ci vorrebbero istituti leggeri per questo tipo di reclusi”.

E noi vorremmo aggiungere che ci vorrebbe anche un ministro all’altezza della grave situazione delle carceri. Invece abbiamo solo un ministro leggero, molto leggero. Quasi evanescente.


- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -