Bambini che lavorano

Si è svolto a Firenze un forum mondiale sul lavoro dei bambini. Sfruttamento del lavoro, ma anche prostituzione, droga, violenza. Ogni bambino che lavora è una sconfitta per tutta la società.
"Il convegno di Firenze è stato sicuramente importante per sensibilizzare di più l’opinione pubblica e anche per stimolare i governi a intraprendere azioni più efficaci contro il lavoro minorile, ma non è molto servito sul piano dello studio e dell’analisi. Il lavoro minorile è un fenomeno molto complesso e semplificarlo come in parte è stato fatto a Firenze non aiuta a capire che le soluzioni posso essere molteplici, come molteplici sono i punti di vista e di analisi su questo problema". Questo il commento di Gianna Giovagnoli dell’associazione internazionale Nats. Nats è un’associazione nata in America Latina oltre 30 anni fa, nel contesto delle comunità di base che hanno caratterizzato la storia recente di quel continente, e che, ispirata dalle idee della teologia e dalla pedagogia della liberazione, affrontano il lavoro minorile in maniera differente dall’idea che sta al fondo dell’iniziativa della Global March.
Attualmente sono oltre 100.000 i ragazzi-lavoratori che ne fanno parte e che sono portatori di un’idea peculiare sul lavoro minorile. "I ragazzi con cui collaboriamo pensano, infatti, che debba essere eliminato il lavoro minorile che è sfruttamento ed espone i bambini a pericoli per sé e la loro salute, ma di fatto vogliono lavorare, in una condizione che permetta loro di frequentare le scuole e di formarsi". Un approccio particolare, apparentemente provocatorio, ma che ha le sue motivazioni. Una delle principali è che se si elimina il lavoro in maniera totale sotto i 15 anni, come prevede la "Convezione 138 dell’Oil", senza proporre immediatamente delle alternative, gli effetti possono essere del tutto contrari a quello che si vuole ottenere.
"Ci sono studi - continua Gianna Giovagnoli -anche dell’Unicef, dunque di un organismo del tutto neutrale, che evidenziano come in molti casi in cui si è tolta la possibilità ai bambini sotto i 15 anni di lavorare, questi sono stati "risucchiati" nella prostituzione, nello sfruttamento sessuale o nei traffici illegali di droga". Ciò è dovuto al fatto che se non si attuano parallelamente misure volte a dare risposte concrete che vadano a riempire il vuoto lasciato dal lavoro minorile così eliminato, questo vuoto viene riempito da altri e peggiori elementi. "Anche il fornire denaro alle famiglie per evitare che facciano ricorso al lavoro dei figli è in molti casi una soluzione insufficiente - spiega - visto che per il momento tali risorse non sono mai state date su ampia scala ma solo all’interno di singoli progetti". La risposta che questi ragazzi danno è dunque improntata a un saggio pragmatismo: "In attesa che le condizioni di povertà dei nostri paesi siano risolte, dicono, lasciateci lavorare, potendo così contribuire anche ai nostri bisogni e delle nostre famiglie, ma fatecelo fare in maniera da frequentare una scuola tutelata ed equilibrata. Anche perché per questi ragazzi il lavoro stesso è formazione che può garantire per loro un futuro migliore, più o meno al pari di un’istruzione che non sia particolarmente qualificata, come quella presente in molti di questi paesi".
Si tratta, dunque, di un approccio che ha una sua legittimità, che è studiato a livello internazionale - proprio nei giorni di Firenze si è svolto a Berlino un convengo internazionale di studiosi con la presenza di molti di questi bambini - ma che non ha una vera parola politica, se è vero che spesso quelli che la pensano così non vengono invitati alle assisi internazionali o sono pesantemente ostacolati, come avvenuto un paio di settimane fa a Lima, dove centinaia dei bambini dei Nats hanno manifestato in occasione di un’iniziativa locale sul lavoro minorile e per questo sono stati picchiati.
Che il lavoro minorile sia un fenomeno complesso lo dimostra anche l’analisi del fenomeno nei paesi occidentali. "A Firenze si è auspicata un’istruzione gratuita, per tutti e di qualità, come ricetta principale contro il lavoro minorile. Ma se così fosse allora anche in Italia, così come in molti paesi europei, il lavoro minorile non dovrebbe esserci o dovrebbe essere residuale": è la puntuale osservazione che Maria Teresa Tagliaventi, giovane ma attenta ricercatrice e docente presso l’Università Cattolica, che ha condotto ricerche innovative nelle città italiane, porta come testimonianza del fatto che il fenomeno ha cause molteplici. "L’analisi del contesto italiano evidenzia questo asserto: ci sono due ricerche, quella dell’Istat, fatta con un metodo statisticamente giusto, su un campione di 75.000 persone, e quella della Cgil, che è stata condotta secondo una metodologia statistica diversa e che annovera anche i bambini immigrati, che portano a cifre diverse. Ma il problema non è tanto il numero, visto che anche solo un bambino che non ha garantiti i suoi diritti di bambino è una sconfitta per tutta la società".
Il problema è capire cosa sta dietro a questo fenomeno nelle società industrializzate come la nostra, dotata di scuola pubblica per tutti. "Da noi molti ragazzi sotto i 15 anni o anche di poco più grandi lavorano per essere più autonomi, per avere un po’ di denaro per sé, quindi c’è anche una motivazione di emancipazione dietro a questo fenomeno. D’altra parte spesso sono anche le famiglie a ritenere che il lavoro "faccia bene" ai loro figli, perché comunque li forma e perché non ci sono alternative educative ai momenti lasciati liberi dalla scuola. E’ quanto succede in molte zone del nostro Sud dove, in mancanza del doposcuola e di servizi educativi alternativi per le ore e i giorni che non si va scuola, i genitori preferiscono che i figli vadano a lavorare piuttosto che rimanere per strada, col rischio che possano entrare in giri pericolosi".
Si tratta, dunque, di un fenomeno il cui dibattito è quanto mai aperto e che richiama altre questioni, in primis l’organizzazione della scuola italiana, la qualificazione della formazione professionale per i figli di chi non si può permettere o semplicemente non vuole andare a scuola fino all’università, le reali possibilità di accesso al mondo del lavoro. Problemi che certo la riforma Moratti non risolve, ma semmai aggrava, e che, alla vigilia della manifestazione romana, ha offerto altri importanti spunti di dibattito.
L’articolo di Sabrina Magnani è stato pubblicato su www.aprileonline.info
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