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Appunti sul declino dello Stato centralista in Europa

L’autorità dello Stato in Europa è in forte crisi per via della scomparsa dei grandi partiti di tradizione ottocentesca e del sensibile affievolirsi del welfare come ideato nel secolo scorso. Quale futuro possiamo ipotizzare per lo Stato centralista nel nostro continente?

di Emanuele G. - martedì 25 gennaio 2011 - 2887 letture

Dopo il crollo del Muro di Berlino molti pensavano che la storia avesse esaurito tutte le frecce al proprio arco. Si riteneva che la sconfitta del comunismo potesse essere foriera di una novella età dell’oro. Chi mai avrebbe osato contrastare l’avanzata inesorabile del liberalismo economico su scala mondiale? Con il senno del poi abbiamo dovuto ricrederci – amaramente – di questo ragionamento al dir poco azzardato.

La storia non solo non ha esaurito le frecce a disposizione, ma ci ha regalato uno scacchiere internazionale privo di punti di riferimento certi e con un mondo quanto mai “aperto” in cui ogni sua parte riveste un’importanza pari rispetto alle altre. Si definisce, per convenzione, questa fase storica come “globalizzazione”. Per molti evento traumatico e pericoloso. A mio avviso, al contrario, si tratta di una fase di passaggio per costruire nuovi paradigmi in grado di consentire al mondo stesso di affrontare con sufficiente stabilità le sfide dell’avvenire.

Contestualmente all’affermazione della “globalizzazione” registriamo un altro evento altrettanto importante: la crisi del modello dello Stato centralista europeo. Creatura originata dalle ideologie economiche, politiche e sociali sorte in pieno Illuminismo e divenuta adulta nel corso del “secolo breve”. Cerchiamo di comprendere quanto è successo partendo da due dati in apparenza non omogenei e piuttosto inquietanti per l’Europa:

1. Secondo una ricerca di Swiss Bank la ricchezza mondiale detenuta dall’Europa passerà nei prossimi decenni dal 30 % al 15 %;

2. Da qui a qualche lustro la Cina “produrrà” ben 25 milioni di nuovi ingegneri.

Cosa significano i dati riportati sopra?

L’Europa si avvia a diventare un’area economica depressa con tutte le conseguenze che ne discendono. La prima delle quali è un pesante affanno a porre in essere concrete opportunità di lavoro per i propri abitanti. Tutto ciò deriva da una crescente incapacità degli Stati europei a governare in modo fattivo i cambiamenti in atto nelle dinamiche geopolitiche mondiali. Speculare a questa incapacità abbiamo – in aggiunta – un’Europa che come sistema complessivo denota gravi lacune nel dotarsi di una politica comune condivisa, effettiva e vincente sullo scacchiere internazionale.

Allora cosa è successo allo Stato centralista europeo che nel corso del novecento era considerato la massima espressione del genio umano in relazione alle modalità di organizzazione dello spazio sociale?

I. Innanzitutto, l’avvento di organizzazione transazionali ha contribuito a ridimensionare la centralità degli Stati come unici artefici delle relazioni internazionali. Anzi succede, sempre più di frequente, che gli Stati debbano trasferire quote delle loro funzioni alle succitate organizzazioni internazionali e che siano obbligati ad adempiere a loro decisioni. Converrete che la prospettiva è cambiata in modo radicale. Un conto sono relazioni prodotte dalla volontà di singoli Stati. Altro quelle originatesi dall’impulso delle organizzazioni internazionali. Si può ancora parlare in tale situazione di interesse strategico dello Stato?

II. Un fenomeno in forte sviluppo è quello che si riferisce a relazioni internazionali causate dall’incontro non di varie volontà statali, ma dall’incontro di cittadini, singoli e associati, appartenenti a stati e continenti diversi. In pratica, si salta lo Stato centralista ed anche le organizzazioni internazionali per porre in essere forme multiple di collaborazione internazionale. L’avvento di internet non ha fatto altro che amplificare tale trend. Fatto positivo o negativo? A me pare estremamente positivo in quanto ha contribuito ad aprire il mondo.

III. Un altro tassello. Il peso inusuale che associazioni, le Ong ad esempio, e multinazionali hanno nel determinare gli equilibri mondiali. Tali istituzioni si comportano come se gli Stati non esistessero. Succede persino un paradosso. Esse scavalcano gli Stati che appaiono semplici strumenti di mera ratifica di determinazioni altrui. Ciò alimenta una diplomazia parallela ed ufficiosa parecchio pericolosa in quanto velata da modalità non proprio legali e trasparenti. Alla fine possiamo pensare: ma gli Stati a cosa servono? Soprattutto quelli europei.

IV. Continuiamo la nostra riflessione sulla crisi del modello degli Stati centralisti in Europa. Lo stato centralista di modello europeo si contraddistingueva per una profonda attenzione alle tematiche sociali (scuola, sanità, lavoro…). Dando origine al c.d. welfare. Anche in questo ambito si denotano molteplici criticità. E per un motivo ben definito. Alla fin fine il welfare è diventato un gigante che per sopravvivere ha drenato ingenti risorse finanziarie deviando dal suo compito originale. Quello di permettere l’affermazione di una diffusa giustizia sociale e di un benessere condiviso nella popolazione. Ma non c’è solo il lato finanziario. Il welfare ha contribuito a creare una burocrazia elefantiaca che è spesso causa di conservazione. Non per nulla tutti chiedono agli Stati europei di sburocratizzarsi perché l’apparato diventa un handicap pesante a ogni processo di sviluppo.

V. Il venir meno dei partiti di massa così come pensati nell’ottocento ha privato l’Europa di una forza propulsiva piuttosto importante. Infatti, se leggiamo le vicende politiche dell’Europa contemporanea ci accorgiamo di una disaffezione nei confronti della politica generalizzata e profonda. La gente non trova più nella politica quel punto di snodo essenziale per trasformare i bisogni diffusi in azione concreta di governo. In quanto i partiti hanno smesso da tempo di capire la società e di dare direttive di orientamento. Anche il concetto di rappresentanza è cambiato. Le democrazie europee non sono rappresentative generali, ma di rappresentanza di interessi aggregati parziali e segmentati. Per certi versi, io mi voto il deputato x perché rappresenterà i miei interessi all’interno delle istituzioni. Il che rappresenta un venir meno del concetto universale di democrazia.

VI. L’eccessiva e pedante legiferazione in Europa è a sua volta elemento di depotenziamento delle potenzialità del nostro continente. Si legifera su tutto instaurando di fatto un totalitarismo normativo che va contro ogni volontà di libertà e di libera iniziativa. Ci sono troppe leggi. Spesso inutili. Capziose senza alcun senso pratico. Il risultato di tale legiferazione abnorme è sotto gli occhi di tutti noi. Ha depresso un intero continente che è stretto fra mille e mille laccioli consegnandoci un’Europa pachidermica e incapace di cogliere gli attimi della storia. Gli europei sono depressi anche per questo. Vorrebbero una legiferazione più agile e semplice in grado di fornire solo alcuni principi. Ma se avremo una legislazione meno monumentale a cosa serviranno i politici e i burocrati?

VII. Infine, la cultura. Sì la cultura è per noi europei un fattore di sottosviluppo. Ci glorifichiamo di essere il centro del mondo per via della nostra superiorità in campo culturale. E siamo rimasti fermi a contemplare le nostre passate glorie dimenticandoci di costruire un presente e un futuro accettabile per le popolazioni residenti nel vecchio continente. La cultura è stata vissuta come un “tool” statico. Di pura adorazione. La cultura serve quando è evento che dinamizza la società e/o le società. Il predominio di Cindia (neologismo che sta ad indicare Cina e India) è dovuto anche a una freschezza culturale oramai inusuale in Europa. Un continente sempre più vecchio. A partire dagli indici demografici.

Allora che si deve fare? Questo è il punto centrale di discussione. Il tempo sta scadendo per il vecchio continente. La prospettiva è che negli incontri fra i grandi della terra del futuro l’unica presenza europea accettata sarà solo quella della Germania. Situazione che condannerebbe l’Europa a una marginalizzazione con ricadute importanti sulla stessa tenuta degli Stati europei. Mi permetto in questa sede di avanzare alcune proposte.

a. Ritengo che bisogna partire da un dato di fatto fondamentale: l’Europa non ha una missione da svolgere nel mondo. Non si capisce cosa ci stia a fare sulla terra e cosa faccia. Tentenna su tutto perché non comprende chi sia. Denota segni preoccupanti di un appannamento generale della sua identità. E’ da lì che bisogna ripartire. Avere un’identità diventa un atout formidabile per essere presenti sul difficile scacchiere internazionale e assicurare un progresso tangibile a tutte le popolazioni europee.

b. Dall’altro lato l’Europa si deve fornire con urgenza di un’organizzazione capace di affrontare le sfide del futuro. Non si può assistere ad un’Europa dove le decisioni vengono prese dopo faticanti maratone notturne e continui scontri fra Stati e le istituzioni centrali europee. Occorre compiere un salto di qualità. Creare uno Stato Europeo che finalmente riduca tutte le aspirazioni particolari, pur condivisibili, al fine di presentarsi come un’entità coesa e in possesso di pronta capacità decisionale.

c. Che confini ha l’Europa? L’indeterminatezza in questo campo non giova all’identità europea. Un momento d’attenzione è propedeutico ai successivi passi. L’Europa finisce sul confine fra Polonia e Russia o potrà contare sul medio-lungo periodo anche sulla Russia? Come finirà con la richiesta di adesione della Turchia? La risposta ai succitati interrogativi è di precipua importanza. Il processo identificativo dell’Europa parte anche da questo versante della complessa problematica riguardante il rilancio del vecchio continente. La chiarezza aiuta sicuramente e in maniera decisiva a togliere di mezzo incomprensioni e confusioni che non hanno motivo alcuno di esistere.

d. L’economia europea non si basi esclusivamente sulle c.d. “new economy” o “green economy”. L’importanza economica di una nazione o di un’area geopolitica risiede sempre e comunque nei comparti agricoli e pesanti. Gli unici che sono in grado di produrre quei benefici forieri di mantenere le posizioni di superiorità di un’area rispetto alle altre aree. Inoltre, il genio europeo dovrebbe essere orientato a creare tutta una rete di incubatori di imprese e servizi che l’Europa offrirebbe al resto del mondo. Ciò permetterebbe di integrare maggiormente la nostra economia con le restanti rendendo l’Europa pivot centrale delle strategie economiche mondiali.

e. Il risorgimento europeo deve trovare momento fondante nelle comunità locali. Sono i popoli d’Europa che hanno l’obbligo morale di essere i veri protagonisti dell’Europa. Non i politici o i burocrati. E’ la gente che lavora. Che produce. Che opera ogni giorno. Che soffre. E guardate che non c’è contraddizione fra il localismo e l’Europa intesa come macro-area. Il localismo è la cellula base dell’Europa. Cellula etica. Cellula sociale. Cellula economica. Le succitate comunità locali devono essere lasciate libere di organizzarsi per il semplice motivo che sono chiamate a vivificare il loro territorio di appartenenza. Più ci saranno territori vivificati più l’Europa si potrà incamminare sulla strada del risorgimento con maggiore confidenza e sicurezza.

f. Parallelamente si ha la necessità di reperire risorse economiche da destinare al rilancio dell’economia europea. In tale direzione concordo con l’idea di “Big Society” lanciata dal Premier britannico Cameron. Il punto fondante di tale proposta risiede nell’assunto che lo Stato nel futuro non potrà occuparsi di tutto e non sarà in grado di finanziare in toto quelle funzioni fino ad oggi di esclusiva pertinenza del medesimo. Quindi cosa fare? Si tratta di trasformare lo spontaneismo associativo delle comunità locali in comitati civici. Essi avranno dignità di istituzione pubblica e dovranno concorrere con lo Sato e le sue terminazioni all’amministrazione della cosa pubblica. Ma bisogna andare oltre questa felice intuizione. I comitati civici al fine di reperire le risorse per rendersi operativi si forniranno di strumenti simili ai fondi pensione. Ossia si occuperanno di raccogliere somme di denaro che saranno trattate in modo particolare per aumentarne il valore economico e renderle produttive. Allo stesso tempo si potrebbero emettere dei certificati territoriali alla stessa stregua dei certificati verdi. Il loro obiettivo prioritario sarebbe quello di attrarre investimenti sul territorio di cui sono espressione.

Comprendo che la sfida è “ciclopica”, ma tutti noi europei abbiamo l’obbligo di iniziare un processo di risorgimento perché così come siamo non andiamo da nessuna parte. Soprattutto per le future generazione che rischiano sul serio di non avere nessun punto di riferimento ben definito. L’Europa la smetta di complimentarsi per l’essere l’ombelico del mondo – non lo è più da tempo – e cominci a sporcarsi le mani. Ecco l’Europa “pensa” molto, troppo a mio avviso, e “fa” poco, pochissimo. Dovrebbe avere come faro il celebre motto mazziniano e repubblicano “Pensiero e Azione”. Al pensiero deve sempre seguire l’azione. Se no si rischia di essere fermi. Fermi come l’Europa dei giorni nostri.


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