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Addis Abeba come Parigi? Molto peggio

La maggioranza sopravvive con meno di un dollaro al giorno, il 45% con 28 centesimi al giorno. L’80% vive nelle zone rurali: un televisore ogni 200 abitanti, un quotidiano ogni 300...

di Andrea Succi - giovedì 17 novembre 2005 - 5137 letture

Prima di cercare di capire meglio, anche con il vostro aiuto, ciò che attualmente sta accadendo ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia dove hanno sede l’Unione Africana, diverse ambasciate, tra cui quella italiana e americana, e uffici di organizzazioni internazionali, UE e ONU, e non-profit, tenterò di fare un quadro generale del paese. 73 milioni di abitanti.

La maggioranza sopravvive con meno di un dollaro al giorno, il 45% addirittura con 28 centesimi al giorno. L’80% vive nelle zone rurali: un televisore ogni 200 abitanti, un quotidiano ogni 300. Il tasso di analfabetismo è del 64%.

La popolazione ha un’aspettativa di vita di meno di 43 anni: vivere in queste condizioni non è esattamente come passare 50 giorni sull’isola dei famosi.

Un bimbo occidentale consuma quanto 422 bambini etiopi. Del resto non ci si stupisce più di tanto se si considera che un cane di una nazione ricca dispone di una quantità di cibo 17 volte superiore rispetto ad un bimbo delle nazioni più povere del terzo mondo, tra le quali, of course, l’Etiopia.

Siccità, aids e miseria stanno martoriando il paese di Ras Tafari, che poco tempo fa ha ospitato il concerto in onore dei 60 anni di Bob Marley. Unica ospite italiana: Carmen Consoli.

Le famiglie contadine, la cui unica ricchezza è data dall’altissimo numero di figli e figlie, sono costrette a svendere i loro giovani per la modica cifra di 10 o 20 birr, l’equivalente di uno o due euro.

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni parla di circa 20,000 adolescenti, tra i 10 e i 18 anni, coinvolti in questo squallido “Human Traffic”.

I ragazzi diventano schiavi, le ragazze prostitute.

Piazzare questo “bene di consumo” nei paesi arabi è semplice e remunerativo: Euro 800 per una futura donna da marciapiede.

Se questo non dovesse bastare a far comprendere che coloro che l’Italia fascista ha tentato di sottomettere vivono in condizioni a dir poco deplorevoli, proverò a spiegare perché ho intitolato l’articolo “Addis Abeba come Parigi?”.

In questi ultimi giorni le manifestazioni politiche contro l’attuale governo, represse con la forza militare, hanno causato 40 morti e più di 200 feriti.

Il potere è in mano a tal Meles Zanawi, primo ministro, originario della regione settentrionale del Tigray e portavoce delle etnie cristiane del Nord (rappresentano il 7% della popolazione contro un 35% di musulmani), che è salito al potere nel 1991 dopo aver sconfitto, con il pacifico uso delle armi, la dittatura di Mengisthu Hailè Mariam, a sua volta usurpatore del regno dell’imperatore Hailè Selassiè.

Tutti personaggi per i quali il dialogo conta quanto per Bush catturare Bin Laden. Poco meno di zero.

L’opposizione fa capo al CUD, Coalizione per l’Unità e la Democrazia, promotore delle insurrezioni che vanno avanti, con alti e bassi dal 15 maggio scorso.

Quella giornata voleva essere storica poiché, per la prima volta dal 1991, le elezioni nazionali, per il Parlamento Federale e per gli otto Parlamenti Regionali, erano aperte anche ai partiti di opposizione.

Le votazioni, alle quali presenziavano 300 osservatori internazionali, dovevano provare l’instaurazione della democrazia anche in Etiopia.

Purtroppo il primo ministro ha sentito odore di sconfitta e si è adoperato al meglio per commettere brogli e per violare i diritti umani degli elettori, come confermato anche dal rapporto della responsabile della missione elettorale UE, Ana Gomez.

Prima che i risultati venissero ufficializzati sono passati circa 2 mesi visto che la regione Somali ha votato il 25 Agosto.

Nella trepidante attesa dell’esito finale, che naturalmente ha celebrato il trionfo di Meles Zanawi, lo stesso primo ministro aveva proibito qualsiasi manifestazione politica.

Gli studenti di Addis Abeba, appoggiati dall’opposizione, si sono ribellati e i militari non hanno trovato niente di meglio da fare che sparare sulla folla, uccidendo, e arrestare circa 4,000 persone.

Portavoci del governo, ancora oggi, definiscono la situazione “sotto controllo”.

Piccola ma alquanto interessante curiosità: Bush ritiene questo governo cristiano un prezioso alleato contro il terrorismo, Blair ha piazzato Meles Zanawi tra i membri della sua Commissione per l’Africa, l’Italia si è adoperata per cancellare il debito con l’Etiopia.

Ricordo la nostalgia del mio amico etiope Yetemare (il cui nome significa guerriero, mi disse una volta) per la sua famiglia ed il suo paese.

Quando gli chiesi se aveva intenzione di tornare, anche solo per qualche giorno, mi rispose che non era assolutamente possibile.

Oramai Yete veniva visto come un africano europeo, uno che ce l’aveva fatta. Se fosse andato avrebbe dovuto portare regali a tutti, in segno di rispetto.

In famiglia erano una cinquantina e tutto il villaggio sapeva della fortuna che gli era capitata. Avrebbe speso un patrimonio e non poteva permetterselo. Nonostante fosse un africano europeo.

Se un giorno ritornasse, lotterebbe sicuramente per migliorare la sua terra dove, attualmente, le regioni rurali hanno un reddito pro capite annuo inferiore a quello del 1974, anno in cui venne decretata la fine dell’Imperatore Hailè Selassiè. Tenaistlì.


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