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40 anni fa moriva Bob Marley

Era l’11 maggio 1981 quando il profeta di Jah ci lasciava a causa di un tumore.

di Piero Buscemi - mercoledì 12 maggio 2021 - 5216 letture

Chi può dimenticare Bob Marley? Chi, tra coloro che gli furono contemporanei in quel ventennale di carriera artistica? Chi, tra le generazioni successive che hanno ascoltato la sua musica, attualissima come non mai, le sue sonorità che trascinano il movimento, sincopato, lento, dondolante?

Marley ci ha introdotto in mondo che non conoscevamo, nei meandri di una cultura religiosa e politica che non ci apparteneva fino alla sua apparizione nel mondo musicale 60 anni fa, in quegli anni ’60 che da noi in Italia avevano il sapore del rilancio e dell’illusione di benessere, quel boom economico che scacciava i fantasmi del passato e spingeva a guardare un futuro di opportunità di riscatto sociale e di voglia di scrivere un diverso capitolo di Storia.

Quella musica allegra, come tante nel mondo che ci raccontano una cruda realtà che si macchia di sofferenza, privazione, soprusi e fango a sporcare i piedi nudi dei bambini che giocano per strada, oltre a qualsiasi sogno di futuro che col tempo diventa utopia.

Il reggae è entrato dalla porta principale della nostra cultura musicale, uscita da quelle melodie mielose di quegli anni, scalzate dalle prime apparizioni delle canzoni impegnate di quella schiera di cantautori che trasformeranno il metodo comunicato della canzone italiana nelle nuove generazioni della fine degli anni Sessanta e ancor di più nel decennio successivo.

Bob Marley ci ha raccontato la Giamaica e i suoi riti religiosi al limite dell’idolatria fanatica. Ci ha cantato di un popolo che si ribellava ai soprusi di politici sovvenzionati dal potere statunitense che in quella terra ha mantenuto il controllo con l’ausilio dell’oppressione e dell’odio razziale.

Ci ha svegliato da un torpore dove credevamo di poterci rifugiare per sempre. Ci ha regalato un’opportunità di riscatto culturale, aprendoci le porte di un’unica globalizzazione accettabile, quella di un senso di libertà che accomuna e ci fa sentire, almeno per quei minuti solcati dalle sue tracce musicali, un unico popolo della Terra.

A quaranta anni dalla sua morte, tra contaminazioni che la sua musica ha subito negli anni, cover riprese e reinterpretate da giganti del panorama musicale internazionale, come dimenticare la versione di Eric Clapton di Shot the Sheriff, e quel tentativo di mantenere in vita la sua eredità artistica da parte di artisti che cercarono di emularlo, eredi anche naturali come il figlio Ziggy, le sue sonorità e quel timbro caratteristico della sua voce, che emanava essenze d’Africa, colori caraibici e un messaggio da custodire nel tempo e da far rieccheggiare ogni volta che si senta il bisogno di risvegliare un’anima ribelle (Soul Rebel, 1970).


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